Sunday 19 August 2018

Sogno del Saggio Turco

dall'antica collezione dei miei mille sogni...


Era di notte. Probabilmente inverno o autunno.
Mafe mi stava portando dentro a un edificio (le immagini che ricordo iniziano con l’apertura della porta). L’ambiente all’interno era un caldo luogo di luci soffuse e rivestimenti in legno. Molti piccoli oggetti di decorazione e molte calde luci (anche se il locale rimaneva in penombra quasi) ne facevano tipo un pub irlandese (o veneto?) oppure una specie di casinò anche se l’atmosfera non era di gioco d’azzardo.
Mafe (forse prendendomi per mano) mi diceva che stava cominciando una specie di gioco o di ricerca. Una cosa che aveva a che fare con il lato femminile di ciascuno. Il gioco avrebbe forse risvegliato o messo alla prova il mio lato femminile.
Ero molto felice di questo e mi sentivo fiducioso e curioso.
Passato il primo stretto corridoietto arrivavamo in un salone più grande e piuttosto affollato. Sembrava una specie di hotel e nel centro più o meno c’era un bancone che sembrava una reception. Una signorina carina dall’altra parte del bancone riceveva chiamate, gestiva le prenotazioni e dava informazioni. Mafe, alla mia sinistra, appoggiata al bancone, chiese (forse in un’altra lingua, ma che io capivo benissimo) delle informazioni sulle attività che dovevano cominciare. La signorina (che fissava solo Mafe) sembrava inizialmente dare delle informazioni poco attinenti, ma subito dopo dimostrava di aver capito visto che, sfogliando delle carte, diceva: “ma certo, certo: il ricevimento del signor Berenghi. Certo”.
Bart (il signor Berenghi) non c’era ancora, ma sarebbe arrivato, si intuiva, con tutta una serie di invitati. Si stava preparando un grande evento nella sala principale del palazzo.
Mafe mi faceva tornare indietro, quasi fino alla porta d’entrata. Alla destra del corridoio c’era una stanza scura e lunga con una tavola alla quale erano sedute varie persone. Mi sedevo anche io (su una sedia sulla destra, le spalle al corridoio). Ogni persona aveva davanti a sé una bottiglietta di liquido trasparente (acqua?) e un bicchiere.
Il mio bicchiere era mezzo pieno, ma in teoria doveva essere vuoto.
Ad un certo punto si deve svuotare la bottiglietta sul bicchiere, sembrerebbe essere una specie di gara, ma è una cosa che non capisco (e che dentro di me ha qualcosa a che vedere con il “lato maschile” ancora, una specie di insensata corsa a vedere chi beve di più magari... boh) fatto sta che faccio sta cosa di versare l’acqua nel bicchiere e Carmelo (che sta seduto dall’altra parte della tavola a sinistra) ride un po’ dicendo che il mio bicchiere era mezzo pieno e che quindi probabilmente non avrei potuto farcela. Ma invece (e come sarebbe anche logico aspettarsi) riempii rapidamente il mio bicchiere (era già mezzo pieno, in fondo, no?) e addirittura l’acqua strabordò e cadde sul tavolo. Carmelo era sorpresissimo (e felice) e diceva che avevo finito la prova velocissimamente! Che ero stato molto bravo.
A me sembrava un po’ na cavolata, ma non capivo bene.
Allora mi alzavo e andavo verso una scala barocca divisa in due rampe; salendo su la scala girava in modo sinuoso e mentre andavo su pensavo che il “lato femminile” era più sottile e più profondo in un certo senso. A quel pensiero fece eco la voce di due donne che stavano in qualche stanza del piano superiore e dicevano tra loro: “ il personaggio principale di quel romanzo è quello, ma secondo me l’altro personaggio è molto più importante e sottile, anche se nascosto” l’altra cofermava e diceva che aveva pensato la stessa cosa e sentendo questi commenti mi rallegravo perché ricordavo che anche io avevo pensato la stessa cosa: il mio intuito era sottile e attento. ( Femminile?...)
Stavo facendo bene, quindi! Andavo per la strada giusta...
Sopra alla scala c’era un corridoio trasversale e tipo 4 stanze. Da sinistra venivano le voci delle due donne che parlavano del romanzo. Mi avvicinavo a quella porta e per una frazione di secondo le vedevo, indaffarate (il flash di questa visione è sfocato...quasi appannato).
Forse si trattava di una specie di spogliatoio e mi allontanavo di nuovo verso il corridoio.
Avevo l’impressione di essere invisibile o forse di essere una specie di spirito, un osservatore.
Il corridoio era scurissimo e proprio davanti alla scala c’era un armadio. Una ragazza molto bella vestita da ballerina classica, tutù bianco e coi capelli neri raccolti in una coda di cavallo si avvicinava nel buio. Io fluidamente scivolavo di fianco e lei, anche se era tutto nerissimo, si portò fino alla porta dell’armadio con una piroetta e una giravolta, ma non mi vide.
Una seconda donna (più robusta, meno aggrazziata, e coi capelli biondi; e che avevo l’impressione di conoscere già) si avvicinava dall’altra parte del corridoio. Avevo l’impressione che si stesse avvicinando a me guardando nella mia direzione, anche se dovevo in teoria essere invisibile.
Lei mi si piantava davanti e mi diceva con una voce dolce e amichevole: “tu sei invisibile, perché sono io che ho scritto questa storia e ti ho dato questo potere. Nessuno può vederti”
Ma poi rimaneva interdetta, mi guardava con curiosità e mi diceva, quasi ridendo: “ma adesso che osservo bene, tu non sei invisibile completamente! I tuoi occhi si vedono! I tuoi occhi sono luminosi!”
Ero contento di tutto questo e scendevo le scale che adesso erano circondate di volumi di libri. Un sacco di libri. Alla fine della scala c’erano pancali con scatole e scatole di libri. Adesso l’ambiente sembrava quasi una grande libreria moderna (o un centro commerciale) con molti volumi, alcuni dei quali erano varie copie dello stesso libro.
Sembravano le offerte di qualche libro bestseller o commerciale, ma un librettino in mezzo a una torre di volumi, attraeva la mia attenzione: lo prendevo in mano. “lo spagnolo per persone davvero stupide. Anche il più scemo riuscirà a imparare le coniugazioni”.
Lascio questo libro dove lo avevo trovato e mi muovo per l’ampio spazio di pavimento in marmo e con abbastanza gente.
Ero vestito elegantemente ma non indossavo scarpe: ero scalzo. La cosa non mi preoccupava affatto ed ero a mio agio. Cercavo qualcuno. Molta gente stava entrando nel palazzo, forse il ricevimento stava cominciando, erano tutti molto eleganti (c’erano anche signori con il fifí e la barba folta e grigia) lo si vedeva attraverso i vetri delle pareti esterne. Adesso però scoprivo di essermi spostato troppo fuori, quasi nella fila di chi doveva entrare, ma io ero già entrato e non volevo che mi confondessero o che si generassero dei disguidi, così tornavo dentro, seguendo la parete specchiata e mi dirigevo verso la sala della cena.
Per entrare nella sala però dovevo passare per un portone sulla sinistra (sembrava quasi l’entrata di un teatro barocco) ma c’era già una certa fila di persone. Vedevo che subito alla destra del portone c’era una porta (dietro a un bancone) che sicuramente portava nella stessa sala principale dei ricevimenti quindi mi dirigevo verso questa porta, aggiravo il bancone da destra e, quando ormai ero vicino alla porta, entrava (proprio da quella apertura) una ragazza con un piatto in mano (o forse era appoggiato sul bancone?). Siccome lo spazio era molto stretto, per errore, spingevo o facevo scivolare il piatto (con un pollo sopra) che cadeva a terra.
Ma per fortuna il piatto (che sembrava di plastica) e il pollo cadevano lentamente e delicatamente e niente cadeva fuori o si sporcava.
Raccolsi il piatto e lo diedi alla ragazza scusandomi molto, dicendo che mi spiaceva davvero tanto. Lei non era arrabbiata e mi diceva che non c’era nessun problema, ma mi chiedeva: “ ma i miei due té, non me li hai portati?”
Té? Non ricordavo niente con del té... dicevo di no, ma non era un problema, continuavo a parlare con lei stando dal lato interno del bancone.
Un ragazzo si avvicinò (e c’era molta altra gente attorno) e chiedeva delle cose alla ragazza. Io per dire qualcosa di simpatico, così, senza malizia, dicevo: “ma anche lui non ti ha portato i té!”. Questa frase sembrò una battuta molto simpatica a tutti e tutti guardavano il ragazzo e ridevano. Cominciò allora una simpatica serie di scherzi in cui ciascuno diceva “ma anche lui non ti ha portato i té” tutti guardavano chi era il nuovo tipo tirato in ballo e tutti ridevano simpaticamente. Ad un certo punto però nessuno disse più nulla, ma tutti si girarono di colpo verso una persona (la faccia, un po’ allungata, ma normalissima, mi ricordava Gianma dello iuav, ma non era lui). A quel punto tutti risero a crepapelle (solo perché lui aveva la propria faccia! Non per altro). Trovai quella cosa potenzialmente molto poco delicata e un po’ maleducata, ma visto che tutti erano gioviali e anche il “gianma” stava al gioco e trovava la cosa divertentissima, non me ne importavo e stavo tranquillo.
A questo punto la visione è un’altra: sto vedeno un paesaggio come se stessi volando, come in un elicottero.
Mi trovo a Venezia, ma è una Venezia in rovina: lungo un canale grandi edificili lunghi, tipo ali dell’arsenale, sono a pezzi: blocchi di pietra d’istria con erbe e edere sono caduti dappertutto e molti pezzi di tetto non esistono più.
È una giornata grigia di auttunno.
Forse l’eco delle parole di qualcuno sta dicendo che hanno lasciato cadere in rovina la città. Che è davvero triste...
Mentre mi muovovolando sopra il canale, guardando bene, sulle rovine di un muro perimetrale di un lungo edificio scoperchiato c’è qualcosa che si muove: sembra una persona che cammina velocemente, forse corre. Sembra coperta di stracci e forse porta un carretto con dei ferri vecchi, ma è molto veloce. Quando salta dalle rovine di un edificio a un altro, con un grande salto agile e veloce, rimango sorpreso.
Seguo la persona con lo sguardo e lui scende dal muro e aggira la rovina sulla destra. Sembra che stia scappando da noi (sto con qualcun altro... sono proprio dentro a un elicottero evidentemente e lui è il mio collega, forse il pilota, anche se è invisibile ai miei occhi e sembra che non siamo in un veivolo, ma che siamo pura “visione dall’alto”).
Ad ogni modo dobbiamo seguire quel “mendicante” perché dobbiamo inun certo senso “aiutarlo”.
Aggirando le rovine a scendendo fino a terra (atterrando proprio a mo’ di elicottero) vedo che il mendicante si è ranicchiato tremante sotto un basso arco nel muro bianco di pietra d’istria: ha paura di noi, ma resta lì, paralizzato dal panico.
Fa pena ma dobbiamo aiutarlo e quindi mi avvicino.
Più mi avvicino e più la scena si fa piccola e adesso quel mucchietto di stracci neri dietro al quale il mendicante si nascondeva non è altro che un piccolo pezzetto di stoffa di 5 o 10 centimetri. Dietro questo straccio si intravede, tremante, un’ombra scura, nera, con riflessi violacei.
Tolgo la stoffa e non è una micro persona, ma una specie di lumacone nero, viscido e tremante (non noto però la strana transformazione come una cosa incoerente). Il mio collega con una specie di lunga pinza di metallo la prende e la mette in un sacco.
Lui sta per tornare all’elicottero (non vedo mai il mio collega, ma so tutto quello che sta facendo), ma io lo chiamo: ho infatti trovato sotto il basso arco adiacente sulla sinistra, una serie di questi esseri che si stavano nascondendo ranicchiati là sotto. Lui torna e io gli dico che si tratta di una famiglia intera!
Li prendiamo uno a uno, ma stavolta sembrano più grandi di prima. Fanno resistenza, è difficile stanarli e si contorcono con forza, tipo dei grandi pesci o delle razze. Sembrano fasci di muscoli neri e nelle convulsioni che danno si vede che escono dal rifugio anche delle sardine, altri pesci e un polipo (evidentemente il loro cibo).
A fatica, uno a uno li prendiamo e li mettiamo dentro un grande sacco nero tipo quello della spazzatura.
La scena che in sé dovrebbe ispirare schifo e ribrezzo, non sollevava in me nessuna di queste sensazioni: si trattava soltando di un lavoro da dover portare a termine, un lavoro che era per il bene di tutti, anche di quegli esseri scuri e viscidi.
Ad un certo punto però vedo che la forza degli esseri nel sacco provoca degli squarci nella plastica, c’è il pericolo che escano tutti. Dapprima vedo le aperture da dove escono pezzi degli scuri animali come fossero delle grandi lingue e anche qualche pesce e altro elemento marino minore, ma penso che il sacco possa resistere. Semplicemente sorveglio che il sacco non si rompa di più. Poi però gli strappi iniziano ad essere troppi, dico al collega che stanno uscendo tutti perché il sacco si sta rompendo! Lui mi chiede che sacco stia usando. Glielo dico e lui dice che ci voleva quell’altro tipo, perché questo che usavamo era troppo debole e avrebbero aperto tutto.
Butto il sacco per terra e lo tengo ben schiacciato contro un carretto attaccato al nostro furgoncino. Si contorce tutto ed è tutto mezzo aperto, ma riesco a mentenere la situazione in stallo. Il collega sta tardando un poco.
Ad un certo punto però il cellulare dentro il nostro furgone si illumina di una luce arancione e subito dopo il furgone si accende da solo!
Fa lentamente una retromarcia che però doveva essere impossibile visto che nessuno stava guidando!!
Sono sconcertato, grido “ma come è possibile?”
Il furgone già é in movimento, lascio il sacco e il furgone fa qualche metro e poi si ferma da solo e si spegne (o sbatte da qualche parte).
Sono stupito! Io e il mio amico ci aggiriamo per la strada notturna senza capire cosa sia successo. Due tipi sconosciuti si avvicinano da dietro una casa e come se stessero quasi continuando un discorso mi dicono: “e dunque era la frequenza giusta. Il tuo numero anche era quello corretto. Con questa chiamata abbiamo dunque mosso il furgone...”
Sembrano agenti segreti. Non mi guardano negli occhi. Le loro spiegazioni non hanno nessun senso per me: come hanno potuto muovere il nostro furgone con una chiamata? Chi sono? Cosa sta succedendo? Cosa vogliono?
Tutto assume un’atmosfera irreale. Mi guardo attorno, anche se a pochi centimetri da me l’agente mi sta parlando (e forse vorrebbe proprio che gli prestassi attenzione), ma vedo camminare sotto a un lampione una persona vestita con un lungo impermeabile e con i pattini
ai piedi. Ma... guardandola avanzare ho come la sensazione chiara che stia in quache modo... fluttuando. I pattini non sempre toccano la pietra del pavimento...
Sono mezzo sconvolto. Gli agenti parlano. Dietro di loro arriva anche un signore con la barba e un ragazzino con lo skate da dietro di noi lo saluta e si danno il cinque.
Mi sembra di essere dentro a un libro, un racconto (sensazione che avevo anche da prima, dall’elicottero) ma adesso mi sono perso nella storia e quindi vedo le pagine di un libro (quasi un libro di scuola con esercizi e foto). Sto cercando il punto dove ero arrivato ma non lo trovo. Sfoglio sfoglio per ritrovare il filo della storia.
Tra le pagine che scorro ce n’è una che si chiama “il più grande regalo della mia vita” (o forse era “o maior presente da minha vida”) e vedo una foto della moschea di Santa Sofia a Istanbul. Sotto c’era scritto (ma io non leggevo, bensí sentivo una voce, che diceva:) “il mio regalo più grande è stato Istanbul, durante un bell’abbraccio di Maggio”.
Sfoglia sfoglia pagine...
Ad un certo punto ero appoggiato a una libreria (stile inglese vittoriano forse) piena di libri in una stanza allungata, con della gente. C’era un divano davanti a me e stavo mettendo le mani tra i libri, cercando...
Un signore che stava dall’altra parte del divano, appoggiato tranquillamente sullo scaffale della libreria pieno di libri, mi osservava sereno e incuriosito e mi chiese sorridendo: “cosa stai cercando?”
(aveva un aspetto saggio, era un uomo tra la cinquantina e la sessantina, ma dall’aria giovanile, sano, di bell’aspetto. Aveva i capelli corti e grigi, quasi bianchi e indossava vestiti esotici, mediorientali. Aveva in testa un cappellino stile turco piatto in cima e circolare. Pensai che era Turco e che era un saggio).
Alla sua domanda, fatta con un sorriso sagace e amichevole: “cosa stai cercando?” io risposi quasi impetuosamente, quasi senza aver controllo sulle mie parole e dissi senza esitazione: “sicurezza”
(Sicurezza in senso di “certezza”).
Lui senza scomporsi, ma con un fare quasi teatrale e sempre sorridente disse: “sicurezza... sicurezza... ma la sicurezza, mio caro... non so se qualcuno qui tra i presenti voglia dire la sua...” (nessuno sembrava curarsi della nostra conversazione, stavano tutti leggendo) “...ma tutti hanno un’esperienza simile... la sicurezza è una cosa così effimera... così insiginificante...”
Mi sentivo colpito dalle parole del saggio che mi fissava e mi parlava come se mi avesse sempre aspettato per farmi quel discorso...
E aggiunse:
“tu Massimo, e voi Pietrobon in generale, l’acqua vi fa intelligente,
ma a volte vi rende stolti come delle anatre.
Guarda il coccodrillo “Joe” invece:
Lui se ne sta sulla superficie dell’acqua come se fosse un insetto,
ma l’acqua lo rende forte...”


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