Saturday, 15 September 2018

sul pericolo e sulla sensazione di pericolo

L'essere umano ha un'incredibile capacità di adattamento: può vivere (o simulare) una normalità in condizioni davvero atroci: per esempio durante le guerre, i genocidi, gli abusi, le epidemie o nei campi di concentramento, nelle favele, nelle prigioni dove si realizzano le pene di morte, o ancora quando una malattia terminale non ti lascia via d'uscita...

In tutti questi contesti che in cui ci si immaginerebbe una infinita disperazione costante può stupire come l'essere umano riesca a ricostruire, almeno in superficie, a un certo livello, una specie di normalità che lo distoglie dall'angoscia della realtà che lo circonda.

Questa incredibile capacità che permette di tirare avanti è la chiave per molte persone e per popolazioni intere, altrimenti non si spiega come possano continuare a vivere gli individui che vivono in Palestina, in Siria, nel campo di Guantanamo, nelle favele più violente.
Essi non solo non si suicidano in massa, ma fanno il mercato, organizzano feste, danzano, cantano etc... come se la vita (quella vera) continuasse comunque a scapito di qualsiasi situazione atroce che la vorrebbe far deperire e deprimere.

È chiaro che la normalità intesa come in un villaggio Finlandese o come in un quartiere di Gaza, sono due concetti e due sensazioni differenti, ma in entrambi i casi chi ci vive pensa (per necessità o per ovvietà) principalmente a cose normali e a cercar di celebrare e valorizzare la vita, di pensare al futuro etc.

Questo fatto che gli uomini abbiano una incredibile capacità di sopravvivenza e di resistenza che deriva dall'abilità di astrarsi dal proprio contesto reale implica un concetto assai importante e cioè che il pericolo è diverso dalla sensazione di pericolo.
Ovvero in altre parole l'uomo può resistere in modo sorprendente a situazioni di pericolo (finché questo pericolo non si manifesta direttamente su di lui, grazie a un potente scudo di astrazione dal mondo), ma ciò che non potrà mai sopportare è una costante sensazione di pericolo che ti minaccia eternamente.
È la sensazione di pericolo ciò che l'essere umano rifugge e che non tollera (e di conseguenze istintivamente sospende mentalmente astraendosi dai contesti duri nei casi in cui la realtà non dia scampo) e non il pericolo in sé.

In poche parole il pericolo è tollerabile, ma la sensazione di pericolo no.

Un uomo armato in Texas può sentirsi più sicuro grazie al suo fucile, anche se il fatto che tutti posseggano un fucile rende il Texas un posto molto più pericoloso id altri stati senza tante armi...
Un controsenso se partiamo dal concetto che l'uomo cerchi di allontanare il pericolo da sé, ma perfettamente logico invece se capiamo che ciò che l'uomo vuole e ha bisogno da allontanare è la sensazione della minaccia costante del pericolo.

Passiamo quindi alla situazione italiana:
Secondo i dati statistici gli omicidi in Italia nel 1991 erano molto più frequenti che oggigiorno (2016).
Se diamo un'occhiata a questa interessante mappa possiamo renderci conto di due cose molto rilevanti in un solo istante e cioè che, primo, che il pericolo di essere assassinato in Italia è enormemente più basso oggi che 25 anni fa e, secondo, che 25 anni fa chi ammazzava non erano certo gli immigrati, ma gli Italiani stessi, visto che le regioni più pericolose erano quelle dove tradizionalmente la mafia era più presente (Cosa Nostra, Camorra, Ndrangheta, Sacra Corona Unita e Anonima Sequestri).


Se quindi torniamo alla questione del pericolo e della sensazione del pericolo ci rendiamo conto che gli Italiani che ora si sentono più minacciati a casa loro rispetto a qualche anno fa e che ritengono che l'Italia non sia più sicura come una volta, questo è principalmente dovuto a un malinteso (probabilmente voluto) su cosa è il pericolo reale e su cosa rappresenta il potenziale pericolo...

25 anni fa potevamo passeggiare per certe strade delle città italiane e non sentirci assolutamente in pericolo, anche se la possibilità statistica di incrociare per caso un assassino era molto più alta.
La ragione per cui questo succedeva è che l'assassino era probabilissimamente un Italiano, normale, qualsiasi, con una faccia normale e vestito normalissimamente. Indistinguibile insomma da qualsiasi vicino di casa rispettabilissimo e pacifico.
Senza essere presente a un atto di violenza diretto, la sensazione di pericolo dell'Italiano medio era dunque zero.

Adesso invece incrociare un assassino è molto più difficile e raro, ma i media hanno creato già da molto tempo l'associazione semplicistica che delinquente = immigrato, per cui chi non ha elaborato nella sua testa che questa associazione è piuttosto debole dal punto di vista logico (e statistico), vede nell'immigrato il potenziale assassino.
Ne risulta che ogni volta che un Italiano medio vede un immigrato si sente minacciato e ciò che non si può tollerare, ricordiamo, non è tanto il pericolo reale, ma la sensazione di essere in pericolo costante.
Il fatto che ci siano immigrati per strada dunque è un costante campanello d'allarme per un Italiano imbevuto da propaganda xenofoba di stato e in definitiva questa sensazione di crescente insicurezza per le strade delle città diventa una minaccia insostenibile perché è ovunque e lo rende ormai isterico e cieco.

C'è da notare che pensare che l'Italia sia più insicura solo perché ci sono più immigrati, cioè più potenziali delinquenti, anche se i dati dimostrano che è molto più probabile imbattersi con un immigrato onesto oggi, piuttosto che un Italiano assassino 25 anni fa, non si può definire in altro como che razzismo.

Se il pericolo è associato alla razza o all'origine etnica di qualcuno e non dal pericolo reale, beh, non c'è molto da fare: si scivola nell'ideologia razziale e si smette di parlare di logica dei fatti e della realtà.

Speriamo che qualcuno inizi a spiegare un po' questa cosa in giro...


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