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Wednesday, 7 June 2023

la resilienza dell'accento

Più che la lingua, le parole, l'idioma, ciò che unisce alle nostre generazioni passate è l'accento.
La lingua non è altro che uno strumento di comunicazione. 
Se per ragioni culturali o storiche diventa utile/necessario cambiare lingua, ogni persona intelligente la cambierà.
Se vado a vivere in Spagna, in Brasile, in Cina o in Guinea, mi sarà conveniente parlare la lingua locale per comunicare e per farmi capire.
Non è un "tradimento" alla mia cultura, semplicemente ho sostituito uno strumento di comunicazione con un altro.

È chiaro che il bagaglio linguistico proprio della Lingua Madre è importante, è identitario, è un regalo creato poco a poco da generazioni e generazioni di comuni antenati radicati alla terra.
Ma se usare una lingua diventa difficile o inutile bisogna riconoscere che essa non è altro che uno strumento per celebrare la vita sociale, per aprirsi al mondo. Deve permettere e facilitare la vita, non intralciarla o complicarla.

Per cui abbandonare una lingua non significa abbandonare le radici.
Significa essere pratico, puntare verso la vita e il futuro.

(Ricordo comunque che nella maggior parte dei casi usare una lingua non significa mai abbandonarne un'altra. Le lingue possono coesistere senza nessun problema, dentro o fuori alle persone).

Ciò che invece spesso non si considera è la questione dell'accento.
L'accento non è un elemento che impedisce l'uso o il cambio di qualsiasi lingua, l'accento è semplicemente il modo locale di pronunciare frasi (in qualsiasi lingua).
L'accento indica la provenienza, indica la comunità da cui vieni, ma si applica a qualsiasi idioma.

Quindi, secondo me, la connessione con le radici, la connessione con la comunità, il rispetto per le proprie origini non viene dalla lingua, ma dall'accento.

Chi porta con naturalità e orgoglio il proprio accento, è connesso alle proprie origini.
Chi se ne vergogna e cerca di nasconderlo, si vergogna delle proprie radici.

È inoltre possibile che l'accento sopravviva come connessione alle origini ben oltre i cambi linguistici (latinizzazioni, arabizzazioni, inglesizzazioni, etc...)
Ipotizzo che certi accenti potrebbero essere il patrimonio sottile di millenni di evoluzione collettiva di certi popoli.

L'accento è più forte.
Se ti senti connesso alla tua terra, conserva l'accento, non necessariamente la lingua.

Monday, 17 October 2016

ricetta: i Polentones

Ecco una ricetta di fusion culinaria internazional-localista.
si tratta dei Polentones!
Potrebbe essere una ricetta che spopolerebbe nella zona del Nordest d'Italia, dove, farebbe forza sul cieco senso di localismo fanatista e controriformista di una buona fetta di popolazione, garantendo immediatamente un gran numero di clienti di puri nativi, pronti a ingozzarsi del nuovo prodotto!
Come sono infatti denominati gli orgogliosi abitanti di queste terre?
Polentoni.
Ma quanti magnano polenta a casa oggi giorno? 0,00001% della popolazione! ma perchééééé´?
eppure... la Polenta è la base della cultura del Nordest!
...se i mari fosse de toccio lalilalà...
dove è finita la polenta? Veneti, Trentini e Friulano scalpitano per poter reintrodurre questo "succulento" alimento nella dieta di tutti i giorni!
La Polenta è la nostra bandiera!
ecco dunque i Polentones!
Si tratta di una versione locale delle Arepas, ricetta veloce e gustosa dell'America latina: piccolo pane di forma circolare preparato con farina di mais che viene aperto nel mezzo e riempito spesso di verdura, carne, pesce o quant'altro.
La stessa cosa si fa con i Polentones: polpettoni di polenta forati in una estremità e riempiti di vari ripieni (baccalà, pesce, verdure, gamberetti, ragù, qualsiasi cosa insomma).
una specie di piadina fusion-triveneta, oppure se vogliamo un kebab polentoso, un neo-tramezzino del futuro! I Polentones sono la perfetta nuova ricetta veloce e gustosa che unisce la tradizione all'innovazione, il gusto alla praticità!
Polentones!
La Polenta è la nostra bandiera!!!

Thursday, 10 September 2015

fuori gli immigrati!

Eccomi pronto per atterrare a Bristol, città dell'Inghilterra, paese dalla lingua germanica mista al neo-Latino importato dai Normanni, i quali furono un tempo Vichinghi; da Bristol andrò a Plymouth in Cornovaglia, dove gli Inglesi fingono di essere ancora Celti, e là mi troverò con Visnu, Brasiliana dal sangue misto Indio, Africano ed Europeo, ma di nome curiosamente Indù.
Ieri ero a Barcellona, città Catalana all'interno dello stato Spagnolo, dove da anni ormai vivo io, Italiano del Veneto, regione che prende il nome da una antica popolazione Indo-Europea pre-Latina.
Da Barcellona per arrivare a Bristol ho dovuto fare uno scalo tecnico a Bruxelles, questa imperfetta frontiera tra Fiamminghi (Olandesi del Belgio) e Valloni (Francesi del Belgio), città scelta come strana e emblematica capitale internazionale dell'Unione Europa; scelta quasi profetica: bandiera unica, ma scarsa integrazione. A Bruxelles mi ha ospitato Karima, Belga di origine Berbero-Marocchina dal nome Arabo, amica di Jonathan, Belga di origine Siciliana dal nome Anglosassone (o piuttosto Ebraico) residente ora in Spagna.
Invece al ritorno da Bristol non ci sarà il Belgio, ma Marsiglia, città di Provenzali, Algerini e Napoletani capitale del sud della Francia, paese di Neolatini che si credono Galli e che usano per definirsi il nome di una tribù germanica. A Marsiglia, città fondata dai Greci, troverò Fabrizio, amico di Roma conosciuto a Barcellona, e la sua ragazza Anna, di Parma, residenti marsigliesi da qualche anno.
Poi, se non ci dovessero essere tappe a Lunel a casa di Ju e Greg, coppia franco-brasiliana, tornerò a Barcellona, città fondata dai Cartaginesi (che erano coloni Fenici provenienti dal Medio Oriente e insediati in terra africana) dove potrò tornare a lavorare alle traduzioni internazionali in Inglese, Spagnolo, Italiano, Francese e Portoghese nella sede dell'area Europa-MedioOriente-Africa di una multinazionale statunitense che ha comprato tecnologie israeliane. ma potrei anche essere spedito subito a Milano, in terra Lombarda (regione che prende il nome da antichi invasori teutonici) per una traduzione Inglese-Italiano.
A quel punto sarò pronto per ripartire ad ottobre per la nuova tappa del lavoro in Mozambico, ex-colonia Portoghese, oppure nel caso tutto slittasse più avanti, potrei essere mandato di nuovo a Tel Aviv, città di coloni Ebrei costruita su suolo Palestinese, per tradurre dall'Inglese all'Italiano. ma se anche questo lavoro saltasse, allora potrei finalmente andare a Casablanca (città marocchina dal nome misteriosamente Spagnolo anche se praticamente creata dai Francesi) dove Xavi, amico catalano, si sposa con una ragazza marocchina e dove, forse, potei trovarmi anche con Jeanne, Parigina che vive in Mali!



...e poi qualcuno ha il coraggio di dire che gli immigrati devono restarsene a casa loro!

siamo tutti migranti.



tratto da una considerazione reale scritta su un diarietto di viaggio.

Tuesday, 31 March 2015

cuál es tu nación?

Cuál es tu nación?
A una pregunta de este tipo en general la gente ya tiene preparada su respuesta: "yo soy X!", "yo, en cambio soy Y!", otro diría: "no! os estáis equivocando! he estudiado la cuestión más que vosotros y vosotros sois claramente Z!"
Parece increíble que la gente en su mayoría no se esté dando cuenta que estas afirmaciones son absolutamente absurdas!
No hay una regla para sentirse de una o de otra nación.
Sentirse parte de un grupo es una cuestión íntima y personal, que nada tiene que ver con demostraciones científicas o generalizaciones categóricas.
Uno se siente parte de lo que le da la gana, sea por razones religiosas, de lengua, históricas o políticas, independientemente de lo que se diga alrededor.

Esto ya de por sí debería cerrar la cuestión, en cambio los debates sobre este tema siempre están de moda.
Pero... una cosa habría que preguntarse:
Quién nos ha enseñado a sentirnos parte de una nación, una única nación, solo una, de la misma manera en que se apoya a un equipo de fútbol?
De verdad es necesario elegir una nación y decidir sentirse siempre, siempre y siempre parte de ella, como si fuera un tatuaje que nunca se va?
No se trata de renegar sus propias orígenes, pero de verdad la nación tiene que ser siempre y solo UNA para cada persona?

Yo creo que no.
Uno se siente parte de un grupo dependiendo del contexto, del zoom que se le dé a una cuestión.
me explico: estando en China yo me puedo sentir esencialmente y sinceramente Europeo, mientras que en una mesa entre varios Europeos me puedo identificar como Latino o Mediterráneo; sin embargo al estar en España me puedo claramente sentir Italiano, aunque en el territorio italiano me siento claramente Véneto.

Esto quiere decir simplemente que no hay una sola nación, no hay una nación unívoca.
El sentido de nación, creo, es algo como una matrioska, que varía según el enfoque que le das y si bajas de un contexto mayor a uno menor, también tu identificación local se hace más detallada y diferente.
O es que de verdad alguien frente a un marciano estaría identificándose con ser Catalán o Vasco en lugar de sentirse Humano, Terrestre?
Definirse Catalán y Vasco tiene sentido en cierto contexto, en otro uno se puede sentir, yo qué sé, más Europeo antes que Vasco, en otro más de Donosti que simplemente Vasco.
algunos sí, algunos no, pero depende!

Sentirse de una nación no excluye automáticamente poder sentirse de otra nación (más grande o más pequeña) en otro contexto.

Tener una nación no es apoyar tu equipo de fútbol cuyos colores de camiseta son sagrados y si eliges uno, automáticamente descartas los otros; una nación es como cambiar constantemente de camiseta según la situación en la cual te encuentras.
Te puedes sentir de muchas naciones a la vez: no es ningún problema! no estás ofendiendo a nadie si es así. no estás despreciando tu gente!
Simplemente serías sincero: en algún contexto las diferencias entre el Véneto y el resto de Italia pueden ser relevantes y por eso te puedes reconocer en esa diferencia, en otros casos no tienen ningún sentido y por eso es totalmente inútil apelarse a una origen y a un grupo que no viene a cuenta.

Yo, dependiendo del contexto distinto me identifico con muchos grupos diferentes, muchas naciones.
Aquí va una lista de ejemplos:
Yo soy indudablemente:
Trevisán, Véneto, Italiano, Véneto-Friulano, Lombardo-Véneto, Nord-Italiano, del Alpeadria, Neo-Latino occidental, Mediterraneo, Europeo-Mediterraneo, de la Unión Europea, Europeo en sentido extenso, Indo-Europeo, Occidental-Capitalistizado, de la Cultura Global, Latino en sentido mediterráneo-americano, etc...
...y todo a la vez!

Todas estas naciones co-existen en mi!
Todas estas son mis naciones!
Y sobre todas estas, la nación principal, la única, la verdadera es ser  del planeta Tierra: soy Humano!

Aquí un esquema de mis varias naciones co-existentes y más o menos concéntricas:


Y aquí en detalle sobre el área Europeo-Mediterráneo


Lo de las naciones es un falso problema.
Las naciones son flexibles, mutantes, variables.
Y sobre todo son una cuestión íntima, personal. Nada que ver con las banderas y las afirmaciones políticas.

Monday, 19 January 2015

identificarsi negando il diverso

lo xenofobo è una persona così insicura della sua identità che l'unico modo per sentirsi parte di una comunità risulta essere quello di negare l'identità degli altri.
attaccando il diverso si sente di difendere la propria identità.
adesso sì che lo xenofobo si sente parte di un gruppo, di una nazione, essendo lui non cinese, non slavo, non marocchino, non negro, non crucco, non terrone, non zingaro...
una identità che si scopre per esclusione.
una dimostrazione per assurdo.

ma il fatto di avere definito i propri limiti verso fuori non implica necessariamente di avere qualcosa di concreto dentro...


dedicato ai Veneti, che hanno fatto di tutto per buttare nel cesso il loro passato agricolo tradizionale, la loro storia e tradizione, la loro lingua e il loro modo di essere. lo hanno fatto spontaneamente. con rabbia. auto-cancellandosi in pochissimi anni.
quello che prima caratterizzava il 90% dei Veneti, dopo qualche anno era diventato motivo di vergogna, di scherno: boaro, contadin! ...parla il dialetto, che grezzo! 
smarrita la propria essenza, il Veneto si è trovato in crisi d'identità. ha assunto modalità genericamente occidentali, per cui si è automaticamente sentito in periferia di un qualche altro centro lontano. frustato.
l'unica maniera di sentirsi parte di una comunità (ripudiata fino all'osso) è stato quella di rifiutare le identità altrui. la xenofobia.
adesso che odi tutti quelli di fuori, sai che sei Veneto.
anche se non sai più cosa significherebbe esserlo in assenza di nemici esterni.

dedicato anche all'Europa, rasa al suolo e colonizzata nel dopo guerra da due superpotenze che hanno imposto il loro stile di vita, valori e modello sociale nelle rispettive aree di colonizzazione, stravolgendo le modalità di vita tradizionali.
come tutti sappiamo viviamo e pensiamo in modo molto più simile agli statunitensi odierni che ai nostri nonni.
L'Europa è stata colonizzata, non diversamente da come lo è stata l'Africa da parte degli Europei, solo che l'Europa non se n'è accorta davvero e anzi pensa ancora di essere stata "liberata" e di essere il centro del mondo.
Questa Europa ha avuto importanza solo come fronte di battaglia tra i due schieramenti opposti e come ricco bottino da spartirsi e adesso che il fronte lo hanno voluto spostare più giù e più a est, nel mediterraneo, a questa Europa che finge di diventare autonoma, fuori dall'influenza diretta di Est e Ovest, e che si trova invece usata come pedina dentro al nuovo gioco dello "scontro di civiltà", non resta che far finta di avere dei valori comuni, antichi, tradizionali, attraverso la reazione alla minaccia del diverso, dell'Arabo, del Musulmano, del fanatico terrorista.
Gli unici valori europei utilizzabili sono la paura del diverso, l'avversione verso il fanatico-religioso e la necessità di sentirsi meglio dei Russi, meglio degli Americani, meglio degli Arabi, meglio dei Cinesi, meglio degli Africani.
meglio di tutti insomma.
Ecco l'identità europea.

Saturday, 17 January 2015

invertir la cooperación internacional

la cooperación internacional, se sabe, es un neocolonialismo que se funda sobre hipócritas conceptos de bondad y de ayudas que rozan la actitud de dar limosnas a la gente que vive en la calle.
esto es así en términos globales, generalizando bastante. pero como fenómeno se puede bien escribir de esta manera.

yo trabajé en cooperación y cualquier persona que se acerca a este mundo sabe que se escuchan los proyectos más raros, en los cuales se apuntan cualquier tipo de persona, a menudo sin ningún tipo de experiencia previa, de profesionalidad específica y de capacidad de relacionarse con otra culturas.
en fin... lo de siempre.
Una de las últimas propuestas  de cooperación que se me propuso fue de abrir senderos para las comunidades montanas en Costa Rica (3 semanas)

A mi me parece evidente que una comunidad de locales que vive en esas montañas desde hace miles de años no necesita en absoluto una persona de Monastier di Treviso, Italia, que nunca abrió caminos en su vida para crear nuevas sendas por el bosque.
Si esta senda no está es, muy probablemente, por que no hace falta, si no en los siglos, la gente que vive allí la habría creado y mantenido.

Esa historia típica me hizo pensar una vez más sobre el tipo de organización que tiene la cooperación internacional, o sea:
- proyectos pensados por gente que no sabe las exigencias reales de otras comunidades, simplemente aplica esquemas mentales de desarrollo "occidental" a otros países.
- financiaciones de organizaciones internacionales que conciben solo un "desarrollo a la occidental" y por esto suportan tan sólo proyectos de este tipo
- gente poco profesional o preparada que se encuentra en lugares culturalmente diferentes a instruir a la gente sobre "lo que necesitan".
- después de haber convencido (más o menos realmente) la comunidad de las "necesidades" que tienen, aplicar el proyecto, siendo los expatriados los únicos que saben como resolver los "problemas" (incluso por que muchas veces son los únicos que ven problemas donde, de hecho, no los hay bajo la perspectivas de otras culturas).

la cuestión es: si una comunidad necesita ayuda y no puede hacerlo sola, está muy bien que se le ayude (si necesitan beber y no hay agua, ni posibilidad de escavar pozos, está muy bien que se les ayude a construirlos para que la gente beba); pero no es lo mismo en todos los casos y en general no tiene sentido que gente de Europa, por ejemplo, detecte los problemas de otros territorios y les proporcione soluciones que la comunidad no ha pedido.

sería por esto interesante invertir el sistema de creación de los proyectos de cooperación.
en lugar de venir desde una idea y una perspectiva occidental, sería mucho mejor que hubiera una plataforma internacional de "pedidos de soporte técnico" donde las comunidades del mundo pueden explicar sus necesidades (que no siempre corresponden a la filosofía o a la lógica occidental).
las comunidades que realmente se sienten necesitadas de ayudas se inscriben en esa base de datos donde se pide auxilio técnico y soporte económico.
a partir de allí, solo esos tipos de proyectos se podrían financiar como cooperación internacional y las ONG occidentales podrían solo actuar en los marcos de los pedidos que están dentro de esta base de datos.
en ningún momento se podrían financiar proyectos que no han sido pedidos por las comunidades mismas y aunque parezca que una población necesita ayuda inmediata bajo la perspectiva de los criterios occidentales, si esta comunidad específica no se siente amenazada por ningún problema, pues no hace falta que nadie se meta por medio a enseñar como hay que hacer.

este sistema garantizaría una protección bastante eficaz a proyectos de neocolonización que se inventan en sitios donde no hay ninguna urgencias tan sólo para entrar en un tejido económico social estratégico y en segundo lugar daría parte activa y directiva a las comunidades locales que serían las que enseñarían a los occidentales el marco de la cuestión y como desarrollar las actividades, rompiendo el esquema del "blanco que se lo sabe todo y viene a enseñar como arreglarlo todo".

las comunidades locales así estarían empoderadas en la selección de los proyectos que ellos consideren de verdad útiles y prioritarios.
los occidentales estarían obligados a una visión más relativa de sus valores y de su papel dentro de la ayuda internacional.
las actividades políticas neocoloniales estarían filtradas y depuradas en su mayoría gracias a un proceso de proposición y aceptación de los proyectos por parte exclusiva de los beneficiarios de la ayuda.

yo creo que esta sería una manera más seria de hacer cooperación.

Friday, 1 August 2014

Italiano: lingua internazionale!

l'Italiano è una lingua di comunicazione internazionale?

al di là del peso culturale che ha rivestito in passato e dell'indelebile segno che ha lasciato nei campi della musica, della cucina, della chiesa cattolica, della criminalità e del mal costume, è l'italiano una lingua "utile" nella comunicazione in ambito internazionale, viaggiando in altri paesi?

inizialmente pensavo di no e a domande di questo genere ho sempre risposto: No, l'italiano si parla solo in Italia e in alcune vallate svizzere dove però si conosce bene anche il francese e il tedesco. citare poi due micro stati come San Marino e Città del Vaticano, mi sembra davvero un tentativo disperato di associare più bandiere a questa lingua di ambito locale. Se poi vogliamo grattare i muri dicendo che qualcuno ancora parla un dialetto italico in Istria o sulla frontiera francese... beh, lasciamo perdere.
quindi, al di là del fatto che molta gente si interessi a parlicchiare italiano, no: l'Italiano non è una lingua internazionale!

negli ultimi anni però mi sono fatto un'idea diversa...
in ogni luogo in cui mi sposto c'è sempre una quantità esagerata di Italiani! non puoi andare in un'isola tropicale, in qualche deserto africano, sulle vette dell'Himalaya o in mezzo alle praterie americane che non spunta un gruppo di Italiani! Italiani dappertutto! come funghi!
Non mi stupirei se Cristoforo Colombo, arrivando in America avesse trovato un gruppetto di Italiani in vacanza o in auto-esilio!
Gli Italiani sono ovunque! Spaesati e incapaci di parlare la lingua locale, oppure già da tempo abitanti di zone recondite, sempre trovi un gruppetto di simpaticoni nostrani (a volte associati a Spagnoli che parlano Italiano o viceversa).
ebbene si, ormai ne sono proprio convinto: l'italiano è una delle lingue più utili a livello internazionale, viaggiando e spostandosi per il mondo! perchè ovunque ti sposti puoi comunicare con queste comunità di little-Italies di genti che come te sta scoprendo il nuovo paese oppure di Italiani residenti che ti fanno da cicerone e ponte verso la nuova cultura.
insomma... sempre Italiani!
sempre Italiani!!! sempre l'Italiano per comunicare con tutti!
è un dato di fatto!

Impara l'Italiano e viaggia dove vuoi: non avrai mai nessun problema per comunicare!

Thursday, 10 July 2014

neologismo - 21

lengua artificial inventada para facilitar la comunicación entre la comunidad internacional y que tiene un pequeño problema intrínseco: nadie la usa y nadie la entiende, coño!

DESESPERANTO

ejemplo: "¿pero qué está diciendo este señor? no se entiende nada! - es normal: habla el desesperanto. intentar entenderlo es desesperante..."

Friday, 2 May 2014

New International Sign Language for all!

when someone hears about sing language he generally thinks that sign language is a language for all the deaf people of the world, because they are deaf and they are not dependent on the variations of spoken languages we are used.
sadly it's not like this: every nation has its own peculiar deaf language, different to the other ones.

this is a real pity cause we tend to think that a language that's not spoken could finally be international, for the whole world, far from the problems of syntax and pronunciations and that we could finally have a language that's not "partial" and related to a specific nation ruling the world.

this is an error 'cause the sign languages are languages developed through history and they have the same problems of spoken languages in terms of syntax, lexicon and difficulty of creating an international language.
there have been attempts to create an International Sign Language, like the Gestuno (ISL) and the Sign Language Pidgin (now-a-day commonly used in international deaf meetings) but these sign languages are not very successful and they never worked out properly.
this is because they are not proper languages, they are a reduced pidgin made for limited international communication.

but even if creating a new international sign language is as hard as creating a new international spoken language I want to propose it for a further purpose! and this is the main point of this post:
if finally a group of the most important sign language linguists join and achieve to create a New International Sign Language not related to any specific cultural area, we would have a powerful tool for international communication, but not only for deaf communities, also for the hearing ones!

that's my linguistic dream: to form a New International Sign Language (NISL) that is created by deaf international linguists and that is designed to be the language for all humanity (deaf and not deaf).
deaf language for hearing people! it could finally avoid all the problems of pronunciation and different local accents that create so many barriers for integration and communication.

the NISL would be the new communication for everybody in any situation: meetings, travels, trades... a different level of human communication that overcames the spoken differences.

this new language would also yield a second result: the idea that deaf or dumb people are handicapped would be completely changed and they would no more be considered as less capable of communicate, on the contrary! they would be special people with a superior attitude for international communication.
they would be the most perfect users of the international language.

I like the idea to go to china and having no need of speaking any world of chinese or english but being able to communicate with local people by mean of my hands!

I like it!