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Thursday, 22 July 2021

Racconto dell'isola

Idea per un racconto surreale.

Un uomo vive in un'isola in mezzo all'oceano. È una piccola isola vulcanica, intorno a lui solo l'orizzonte del mare.

L'uomo vive la sua solitudine e il suo estremo isolamento. Ogni tanto si spaventa per grandi tormente oceaniche, a volte per la scarsità d'acqua o la difficoltà di ottenere il cibo, a volte degli squali si intravedono e lo spaventano, ma ciò che più lo lascia inquieto è il vulcano dell'isola che (specialmente di notte) scoppia in grandi boati e sputa fiamme e rocce infuocate, facendo tremare la terra sotto i piedi.

L'uomo passa infiniti giorni e infinite notti in questa solitudine e in questa monotonia instabile e inquieta.

Un giorno si alza e guardando all'orizzonte scopre che adesso c'è un'isola là in fondo. È un'isola lontana, ma si vedono le montagne, la vegetazione più scura, le spiagge e un altro vulcano che libera fumo nero.

L'uomo non si capacita di come sia possibile... pensa mille possibilità per cui quell'isola possa essere apparsa all'orizzonte, ma niente si spiega: non si tratta di un'isola "nuova" creata da un nuovo vulcano, è un'isola con vegetazione e tutto... semplicemente è comparsa...

Passano i giorni e l'uomo si abitua alla vista della lontana e misteriosa isola.

Diventa poco a poco un elemento familiare che completa il suo mondo e che gli fa immaginare come sarebbe stare dall'altra parte... come sarebbe quell'isola da dentro...

Un giorno, svegliandosi la mattina, di nuovo la sorpresa: l'isola è molto più vicina!

Come è possibile? Non si sa...

Adesso però si possono vedere in lontananza gli alberi, a volte si può intravedere qualche grande uccello planare attorno alle vette rocciose e verdeggianti.

È incredibile... è come se di notte avesse fatto un salto di un paio di chilometri! Assurdo!

Comunque passano i giorni e di nuovo l'uomo si abitua all'isola misteriosa, ma sempre più familiare. Diventa poco a poco un enigma ma anche un riferimento che riempie le sue giornate e la sua vista.

Dopo molti giorni e molte notti, di nuovo il miracolo! Di nuovo l'isola è più vicina! 

Adesso si vede bene tutto quello che c'è dal lato visibile! È ancora molto distante per poter raggiungerla a nuoto o con una zattera, ma è inevitabile pensare a come poter arrivarci... è grande e bella! sembra disabitata. Il panorama si riempie di questa lussureggiante visione. L'uomo smette di guardare gli altri orizzonti e solo scruta e analizza i dettagli di questa mistriosissima isola che si muove...

Una notte mentre dorme il vulcano della sua isola esplode in una potente eruzione... L'uomo si spaventa molto. Il cielo nero è illuminato dalle esplosioni e da fiumi di magma infuocati. Ma ecco che adesso anche il vulcano dell'isola misteriosa esplode in una potente eruzione! Panico! L'uomo si perde in una serie di deliri di paura finché non sorge il sole. I vulcani si calmano... pericolo scampato... l'uomo si addormenta sulla spiaggia.

Al risveglio, quando il sole è già alto, con grandissimo stupore l'uomo scopre che l'isola misteriosa è tornata in fondo all'orizzonte... lontano lontano.

Ormai questa stravaganza non lo sconvolge più, ma si interroga su cosa sarà accaduto, su cosa succederà adesso e si chiede come sarebbe adesso vedere la sua propria isola dalle spiagge dell'altra isola. Inizia a immaginare che quella stessa notte l'isola misteriosa potrebbe sparire per sempre ed entra in lui una tristezza profonda: quell'isola è diventata una compagna che dà senso al suo orizzonte e alle sue giornate. Il mistero di quelle apparizioni poi lo intriga e il solo pensiero che possa sparire con tutto questo mistero e lasciarlo di nuovo da solo, in mezzo all'oceano,a contemplare un infinito orizzonte vuoto in tutte le direzioni lo spaventa.

Ma il giorno dopo l'isola resta alla vista. E così anche il giorno dopo e quello dopo ancora.

L'uomo inizia ad essere grato all'isola per non sparire dalla sua vita. Per accompagnarlo.

Un mattino, dopo varie settimane, l'isola torna ad avvicinarsi. È un processo lentissimo, ma dopo ancora delle altre settimane l'isola si riavvicina e continua ad avvicinarsi ancora.

Una mattina l'uomo si sveglia e l'isola è vicina! È proprio davanti alla spiaggia, a un centinaio di metri di distanza e si staglia in tutta la sua imponenza con le sue montagne e la sua vegetazione.

L'uomo rimugina qualche ora e alla fine decide di attraversare a nuoto quella distanza per toccare l'altra isola e per esplorarla.

Si mette a nuotare, anche se teme un po' gli squali e le correnti, ma alla fine, poco a poco si avvicina all'isola misteriosa. Dopo qualche minuto carico di tensione l'uomo arriva vicino alla spiaggia dell'isola che si muove. Tocca con il piede il fondo della spiaggia e velocemente si lancia verso la sabbia asciutta.

prende fiato, è tutto emozionato, e per la prima volta ammira la propria isola da un'altra prospettiva! è incredibile ed emozionante: tutti i dettagli conosciuti dell'isola adesso appaiono in ordine, visti da una certa distanza. Con gli occhi può seguire, con la mente, i percorsi e i sentieri conosciuti, anche se nascosti a volte dalla vegetazione e dalle pietre. Vede l'imponente vulcano della sua isola, che fuma e sembra una divinità irritata. 

Tuttavia non si sente molto a suo agio in quell'ambiente nuovo: è un misto di inquietudine e di eccitazione per poter finalmente esplorare quell'isola tanto sognata. Addentrarsi nella vegetazione però gli fa un po' paura e non si allontana molto dalla spiaggia. Il timore che l'isola in cui si trova si allontani di colpo lo mantiene vicino alla costa.

È una grande avventura, una bellissima esperienza, emozionante e misteriosa. L'uomo torna alla spiaggia, torna a guardare la sua propria isola da quel punto, ammirato, amando l'isola che lo ha cresciuto, e poi, temendo che cali la notte, decide di tornare a nuotare verso la sua isola e lasciare l'isola misteriosa alle spalle.

Quella notte l'uomo quasi non dorme dall'agitazione, dai pensieri, dai ricordi e dall'orgoglio di aver attraversato ed esplorato l'altra isola.

Il giorno dopo l'uomo non resiste e torna a nuotare dall'altra parte.

giorno dopo giorno l'uomo esplora sempre più aree dell'altra isola, il che lo rende felice, ma spesso si trova con sete e fame, non conoscendo i posti dove poter nutrirsi e abbeverarsi. Ogni tanto trova qualche pozza d'acqua o qualche frutto sconosciuto, ma non sa se sono velenosi oppure no e spesso per fame o sete torna ad attraversare lo stretto braccio di mare per mangiare e bere nella propria isola.

Un giorno, esplorando l'isola misteriosa, l'uomo vede dei movimenti, dei rumori, del fumo. Subito pensa sia una manifestazione del vulcano, ma poi intravede in lontananza una persona.

Si scrutano, sembra amichevole. L'uomo fa un gesto, l'altra persona fa un gesto di risposta, ma poi si nasconde nella vegetazione. L'uomo torna alla spiaggia e nuotando, torna alla propria isola.

Il racconto prosegue sviluppando poco a poco l'avvicinamento tra l'uomo e l'abitante dell'isola. Si scopre poi che si tratta di un'intera tribù e non soltanto di un individuo. I rapporti sono amichevoli e alla fine l'uomo finisce anche per essere invitato nel villaggio. Dopo un lungo periodo di tempo l'uomo si sente benvenuto e invece di passare continuamente da un'isola all'altra, decide finalmente di dormire per la prima volta nell'isola misteriosa, tra gli abitanti dell'altra tribù, nel villaggio.

Tutto continua bene, l'uomo dorme quasi sempre nella propria isola, impara qualche parola della lingua della tribù dell'isola misteriosa, attraversa lo stretto spazio che separa le isole con disinvoltura e senza più nessun timore. A volte preferisce starsene nella propria isola. Comincia anche a non guardare più con tanta attenzione l'isola dall'altra parte: è diventata una normalità, un luogo consueto. A tratti invece scorge gli abitanti dall'altra parte e comunicano a gesti.

Ad ogni modo i contatti sono regolari e l'uomo continua a esplorare l'altra isola. Solo il vulcano lo spaventa molto. Ormai conosce tutto il lato più vicino, e però ancora ben poco del lato "nascosto" dell'isola misteriosa.

Decide di esplorarlo tutto. Si addentra in una vegetazione diversa, fitta. Perde di vista la propria isola. Si apre strada nella vegetazione anche se non c'è sentiero. Alla fine arriva alla spiaggia dall'altra parte, di sabbia nera, vulcanica, e là riposa.

Ha molta fame e inizia a cercare frutta. Non trova nessun frutto conosciuto, ma ce n'è uno nuovo, che sembra davvero succulento... la fame è troppo forte e decide di rischiare e di mangiarlo. 

È delizioso! 

Ne resta entusiasta. Si rimpinza la pancia e prende una decina di frutti per portarli con sé nella sua isola.

Passando per il lato conosciuto dell'isola misteriosa incrocia qualche abitante della tribù ed è il disastro! Gli abitanti di quell'isola iniziano a gridare furiosi! Sembrano insultarlo, sono fuori di loro. Alcuni spariscono nella vegetazione e poco dopo appaiono con degli archi e delle frecce. Cominciano a lanciarle contro di lui! Vogliono ammazzarlo! L'uomo comincia a fuggire, spaventatissimo.

Fa cadere dei frutti, ma arriva alla spiaggia e inizia a nuotare verso la propria isola. Sente dietro di sé le urla della tribu e il rumore di frecce che cadono nell'acqua vicino a lui.

Arrivato nella propria isola si nasconde in un posto sicuro. Tiene d'occhio la tribu dall'altra parte, che non attraversa lo stretto, per fortuna, ma che accende vari falò sulla spiaggia continuando a urlare e a minacciarlo.

Cade la notte e l'uomo alla fine dorme.

Il giorno dopo l'uomo resta sulla propria isola, attento e all'erta.

Il vulcano dell'atra isola sembra preparare un'eruzione... ci mancava solo questa...

Dopo qualche giorno si sveglia di soprassalto di notte e scopre che due individui della tribù dell'altra isola sono lì, seduti vicino a lui. Dopo lo spavento, nota che i due sono tranquilli. Iniziano a fare gesti e a dire qualche parola comune che conoscono e in qualche modo fanno capire che quei frutti erano sacri. Che non si possono mangiare (almeno questo è ciò che capisce l'uomo). L'uomo cerca di rassicurarli e di informarli che ha capito. Gli individui della tribù lo salutano e se ne vanno. L'uomo rimane pensieroso... soprattutto adesso che ha visto che gli abitanti dell'altra isola sanno attraversare il mare e conoscono il suo nascondiglio...

Dopo vari giorni tranquilli (a parte il vulcano che continua a sputare fumo e a ruggire) l'uomo decide di attraversare di nuovo il mare e di arrivare nell'altra isola. Non trova nessuno. Con cautela decide di avvicinarsi poco a poco al villaggio, ma non trova proprio nessuno. Resta nello spiazzo centrale del villaggio, desideroso di tornare a intessere buoni rapporti con la tribù. Passano le ore. Si stende nella tranquillità del giorno soleggiato e senza rendersene conto si addormenta.

Si sveglia di soprassalto, svegliato dalle urla degli abitanti del villaggio. È quasi notte e sembrano essere tornati tutti adesso. Sono infuriati, urlano, lo insultano, gli fanno gesti minacciosi. Qualcuno si avvicina e lo spinge via in modo aggressivo. L'uomo che dapprima cercava di calmarli, adesso si spaventa e inizia a fuggire. Gli abitanti dell'isola lo inseguono urlando. 

L'uomo arriva velocemente sulla spiaggia, ma ...orrore! la sua isola non c'è più!

Sembra che l'isola misteriosa si sia allontanata di colpo e non c'è più niente all'orizzonte...

Gli indigeni arrivano urlando alla spiaggia e l'uomo decide di lanciarsi in acqua per salvarsi. Nuota lontano, ma non c'è nessuna isola da raggiungere ormai... resta al largo guardando la spiaggia piena di abitanti che urlano e lo insultano. Lui è spaventato... non sa bene cosa fare... inizia ad aver paura delle correnti e degli squali, ma non può più tornare sulla spiaggia adesso... 

È esiliato nel mare. Ha perso la sua isola sicura... È in pericolo totale di vita...

Decide di aggirare delle rocce per cercare si lasciarsi dietro gli indigeni. Ha paura di nuotare tra quelle acque scure, ma è l'unica soluzione. Gli abitanti cercano di seguirlo e di mantenerlo a distanza, ma poco a poco cala la notte e non riescono ad aggirare gli scogli continuando a tenerlo sott'occhio.

L'uomo, spaventato dall'oscurità e affaticato dal nuoto, aggira tutta una piccola penisola e alla fine riesce ad arrivare a uno spazio sicuro tra due grandi rocce scure. Riesce a uscire dall'acqua e cade nel sonno più profondo.

Il giorno dopo si sveglia e si chiede cosa può fare: la sua isola è sparita, l'isola in cui si trova invece è ostile e minacciosa... passa quasi tutto il giorno pensando cosa fare... si arrampica un poco solo per riuscire a trovare qualche pozza d'acqua per bere, ma non osa allontanarsi dal suo nascondiglio.

Passa qualche giorno. Nulla cambia. L'uomo è costretto ad aggirarsi nelle vicinanze del suo rifugio per trovare qualche bacca e qualche frutto da mangiare, ma non osa spostarsi molto. A volte sente dei rumori che potrebbero essere gli indigeni e si mette in acqua e nuota lontano. Ma questa situazione non è sostenibile. Non può continuare così... Non gli viene in mente nessuna idea... è disperato e maledice il giorno in cui ha deciso di esplorare quell'isola stregata.

Un giorno decide di muoversi, nuotando, verso un altra spiaggia che ricordava di aver visto quando osservava l'isola da lontano. Dopo qualche ora, ci arriva in qualche modo. Non sa se è un posto sicuro, ma c'è un fiumiciattolo ed è più facile trovare qualcosa da mangiare. Può anche trovare dei legni per fare degli arpioni per pescare dei pesci. Purtroppo però non può accendere fuochi nè riposarsi tranquillo.

Il vulcano comincia a eruttare di nuovo. Questo posto sembra essere diventato l'inferno!...

Gli unici due piani che riesce a escogitare dopo tanto tempo in questa situazione è: o cercare di tornare in buoni rapporti con la tribù, oppure crearsi una imbarcazione e cercare di lanciarsi nell'oceano, oltre l'orizzonte, in direzione alla sua isola d'origine, sperando che si trovi appena oltra l'orizzonte...

Entrambi i piani però sono molto rischiosi e lo spaventano.

È davvero una situazione orribile. Piange e si dispera per aver perso la propria isola.

Passano ancora dei giorni e quando l'uomo decide di attraversare la spiaggia per prendere della frutta e bere un po' d'acqua, viene scoperto dagli indigeni. Urla e grida. Non si sono proprio calmati! Alcuni avevano portato archi e frecce e cercano di colpirlo. 

Terrorizzato l'uomo si lancia di nuovo in mare e cerca di aggirare di nuovo gli scogli.

Ce la fa anche stavolta... gli schiamazzi degli indigeni sembrano essere d'appertutto. Non li vede, ma continuando a nuotare si rende conto che lo hanno circondato e che sanno che sta da qualche parte tra le due spiagge, protetto dagli scogli.

La situazione è critica... L'uomo torna nel piccolo anfratto che era stato il suo primo rifugio.

È disperato... non sa cosa fare, mentre il vulcano continua a sputare fuoco sempre più forte.

Solo di notte le voci degli indigeni sembrano svanire poco a poco e l'uomo decide di compiere un azione azzardata: a nuoto torna alla prima grande spiaggia che aveva calpestato per la prima volta, quella che stava direttamente davanti alla sua isola, e protetto dall'oscurità notturna, con tutta la cautela, si aggira tra i boschi alla ricerca di tronchi e di frutta. Ha deciso di costruirsi una zattera in qualche modo e di allontanarsi dall'isola, perchè ormai rimanerci è morte certa.

Non riesce a compiere la sua missione in una sola notte e il giorno dopo nota come la tribù continua a cercarlo e a pressarlo, con ira e rabbia. Non c'è soluzione: deve fuggire.

Aspetta che cali di nuovo la notte e torna di nuovo a cercare di concludere la sua zattera, con tutta l'attenzione del mondo.

Esplode con un fragore colossale il vulcano!

Tutti gli indigeni si svegliano: si nota una gran confusione nell'oscurità, tra gli alberi. Nella baraonda e nell'oscurità, in modo roccambolesco, l'uomo riesce a tornare nella spiaggia con i suoi tronchi e porta il materiale nel suo nascondiglio, sano e salvo.

Il giorno dopo si sveglia tardi, lavora sulla sua zattera mentre il vulcano borbotta sempre di più. 

A fine giornata la zattera sembra pronta. Riesce anche a racimolare dei frutti e a raccogliere dell'acqua per il suo viaggio oltre all'orizzonte... Adesso solo bisogna salpare...

Non lo fa...non osa... aspetta... cala la notte.

Quella notte aha incubi orribili. Si sveglia molte volte. Alla fine arriva l'alba confortante...

Deve trovare il coraggio di andare. Passano preziose ore di luce mentre la mente dell'uomo cerca mille possibilità alternative per evitare di partire... pensa se non sarebbe il caso di aspettare che, miracolosamente, l'isola torni ad avvicinarsi alla sua... in fondo quella misteriosa apparizione era già successa... ma potrebbe anche non succedere più... potrebbe anche essere ogni giorno più lontana... alla fine un ennesimo scoppio del vulcano gli dà l'ultimo scossone per lanciarsi.

E va...

Verso l'orizzonte...

Si allontana poco a poco dall'isola. Si aiuta con un remo fatto alla buona. Gli indigeni lo scorgono e iniziano a urlare minacciosi... ma lui, lentamente, si allontana...

Ad un certo punto arriva a un paio di chilometri di distanza dall'isola... Inizia a guardarsi indietro: l'isola misteriosa... guarda davanti: l'orizzonte infinito, vuoto, tutto l'oceano davanti. Inizia a dubitare... resta un bel po' fermo, senza sapere cosa fare. Rimpiange la terra ferma dell'isola misteriosa, maledice la tribù, piange la sua isola originaria e resta, disperato, chiedendosi cosa fare... quale sarà la soluzione meno pericolosa? Tornare o andare avanti?

Il tempo passa, l'acqua è poca, il cibo anche... decide di proseguire...

Verso sera è già lontano, ma si muove piano... dietro di sé solo la sagoma dell'isola, in lontananza. il vulcano che sputa fuoco e fumo... davanti: ancora niente...

Cala la notte. Grandi pesci minacciosi sembrano aggirare la zattera, non molto solida... la paura è grande, la solitudine infinita.

Dorme e si risveglia: l'isola dietro di lui quasi non si vede più, ma c'è il fumo del vulcano che mostra ancora la sua presenza. Attorno a lui, a parte quel riferimento: niente. Solo acqua e onde.

Passa la giornata e verso sera non si vede più niente tutto attorno... pensa se non è il caso di cercare di tornare indietro... la fatica è grande: sta remando tutto il giorno... il cibo è poco... sta tutto il giorno sotto il sole e con la pella arsa dal sale marino...

L'acqua sta già terminando... un po' è caduta, spinta dalle ondulazioni dei flutti...

La notte sta scendendo e non si vede niente all'orizzonte. L'uomo piange amaramente... ma ogni secondo scruta l'orizzonte sperando di vedere un miracolo: la sua isola.

Ma niente: il giorno successivo è uguale e monotono... nessuna sorpresa. L'uomo è esasperato. cerca di centellinare l'acqua e i pochi frutti che gli restano, ma è nervoso e spaventato...

A metà pomeriggio il cielo sembra farsi scuro... una tempesta all'orizzonte... L'uomo si guarda attorno, ma c'è solo acqua. Disperato chiede clemenza al cielo. Si sente fragile, perso, impotente, disperato... ogni direzione potrebbe nascondere l'isola, ma nulla appare... ogni pensiero gli fa notare come è sempre infinitamente più probabile che stia sbagliando rotta invece che sia sulla rotta giusta... è una questione di statistica e ormai ha perso completamente l'orientamento, non sa se le correnti lo hanno spinto alla deriva oppure no... non sa più nulla.

Il temporale si sta intensificando all'orizzonte. Il vento comincia a essere fresco e a spazzare la superficie. L'uomo teme che le onde possano distruggere la sua zattera (sarebbe davvero probabile...). Prega non si sa chi perché tutto finisca...

Invece inizia a piovere e le onde diventano poco a poco più agitate.

Cala la notte: disperazione... all'orizzonte tuoni e fulmini...

La paura è grande ma la stanchezza ancora più forte e alla fine l'uomo cade stremato nel sonno, sotto la pioggia.

La mattina dopo la tempesta sembra essere passata al largo e averlo risparmiato. Però il movimento delle onde ha fatto cadere gli ultimi frutti che aveva, il remo e l'arpione per pescare... adesso è proprio alla deriva. L'unica nota positiva (oltre al fatto di essere ancora vivo) è che la pioggia ha riempito i suoi contenitori d'acqua.

Continua il viaggio nel nulla...

Passano un paio di giorni deliranti...

Finisce davvero l'acqua...

L'uomo perde ogni speranza. La sua isola non appare più.

Sa che è arrivata la sua ora: non ha più energia, non ha più cibo né acqua, non ha modo di decidere la sua direzione e intorno a lui solo l'oceano immenso.

Si abbandona. Si lascia andare: si distende sulla piccola e stretta zattera che poco a poco si sta sfasciando e guarda il cielo passare dalla luce della sera alla notte... con le stelle...

Inizia un viaggio delirante nella sua mente... tra la vita e la morte... i sogni si confondono con la realtà... le paure con la certezza di non aver più speranza... vede varie volte la sua isola, ma era un sogno, confonde le due isole nella sua memoria, non ricorda più chi è, chi sono gli indigeni. Tutti hanno la sua faccia, sono tui lui stesso che si caccia da solo, che urla con mille bocche all'unisono, che vuole uccidersi, che vuole scappare da se stesso e che passa da un'isola all'altra che è sempre la stessa isola: lo stesso incubo. I vulcani sputano fiamme come in una sorta di conversazione rabbiosa.

Ed ecco che l'eruzione è fortissima!

In confusione tra sogni e realtà, incubi e miraggi, l'uomo si raddrizza sui pochi pali ancora legati supra l'acqua e vede... un vulcano all'orizzonte... un vulcano in eruzione con fiumi di lava... laggiù in fondo all'orizzonte.

È la sua isola!!!

Si lancia in acqua e scopre che non ha forze per nuotare... quasi non riesce a tenere gli occhi aperti... non può remare verso l'isola... non sa se ci sta andando contro oppure no... non sa se credere che sia vero o no... non sa se sperare o no...

Esausto perde conoscenza. Si risveglia molto tempo dopo e sembra andare al largo dell'isola senza intercettarla... Di fatto sembra che ci sia passato vicino e che adesso si stia perdendo di uovo verso l'orizzonte. Disperazione totale... Ultimo urlo di rabbia. Ultimo pianto e svenimento finale.

Si sveglia sulla spiaggia della sua isola, semimorto.

Un uomo della tribù, unico e solo, gli sta dando acqua e si sta prendendo cura di lui.

Alla fine, dopo vari momenti di sonno, riesce a svegliarsi e ad alzarsi. Scopre che l'uomo della tribù sta là, nella sua isola, da solo. Anche lui ha perso la sua isola.

Passano i giorno e torna la normalità, l'uomo è entusiasta di stare di nuovo nella sua isola, sano e salvo, e senza persone minacciose e ostili.

Un giorno l'uomo della tribù gli fa cenno di seguirlo e lo porta verso una caverna che sta alla base del vulcano in eruzione. L'uomo teme di entrare laggiù. L'indigeno lo sprona a passare, ma l'uomo si rifiuta.

Nei giorni seguenti l'indigeno ogni tanto cerca di invitare l'uomo ad entrare nella caverna, ma il vulcano sembra sempre più pericoloso e l'uomo teme che una frana lo chiuda dentro alla caverna per sempre.

Dopo ripetuti tentativi, un giorno l'uomo accetta l'insistente invito del suo amico ad entrare nella caverna.

L'i trova una meravigliosa fonte di acqua cristallina e una piscina trasparentissima dove un raggio di luce illumina d'azzurro le profondità piene di pietre luccicanti.

È meraviglioso.

L'uomo si tuffa nell'acqua rifrescante e dissetante.

È il posto più bello che abbia mai visto. A partire da quel giorno quella sarà la sua nuova casa.


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Ecco. Fine.

Qualcuno riesce a capire qual è il significato di questo misterioso racconto? hehe.



Friday, 19 June 2020

la madonna della B.A.


La sveglia suonò.
Lele lentamente si tirò su e si mise seduto sul letto.
Uno sbadiglio profondo.
Si mise a cercare le ciabatte con la punta dei piedi.
Eccole: il mondo ricominciava ad aver coerenza.

Tutto cominciò normalmente, quel giorno. D'altronde si trattava semplicemente di un giorno normale, come tutti gli altri.
Un normalissimo giorno piatto, così come la pianura infinita.

E non è tanto per dire: la realtà, in giorni così identici, è davvero appiattita fino all'estremo. Non c’è nessun picco, né un rilievo che muti il paesaggio. Ciò che potrebbe di fatto rendere diversi i giorni, occupa il minor spazio possibile, come la terra sotto all'orizzonte: In tutte le direzioni, uniformemente, la stessa normalità, uguale, indistinta, monotona.
In giorni così, o in paesaggi di questo tipo, dove non si vede una fine ad altezza d’uomo, quello che domina non è la terra sotto l’orizzonte, o la realtà oggettiva insomma, ma invece è il cielo, il cielo sopra di tutto.
I suoi spazi infiniti, che cambiano con le ore, con i giorni, con le stagioni, e che invitano a sognare fluttuanti realtà fantasticate.
E cioè realtà inesistenti.
Irraggiungibili.

Ma per ora Lele si stava solo lavando la faccia per cominciare velocemente la sua giornata.
Si muoveva per la casa con il pilota automatico.
A quest’ora non c’era assolutamente spazio per nessun pensiero profondo, ne per svolazzi di chissà quale fantasia. Più tardi, forse sì, chissà. Ma in questi primi istanti del mattino no, non c’è proprio tempo per le fantasticherie e neanche per i sogni.
E non intendo i sogni di caldi futuri immaginari, leggeri ed affettuosi, no: parlo proprio dei sogni spiccioli, quelli di ogni notte, se qualcuno mai se li ricorda. Quelli interrotti dalla sveglia qualche minuto prima di alzarsi da letto e che, appena si aprono gli occhi, vengono falciati via come se fossero erbacce nel giardino di casa, una domenica mattina, di primavera.

I sogni...
Cose inutili.
Senza senso.
“Mejo un café e do biscoti. E via, come senpre.” Pensava Lele a quest’ora. Su tutto.

Dopo 15 minuti di rapida preparazione rutinaria, era finalmente pronto per affrontare l’infinito e sempre uguale mondo esterno.
Prese le chiavi della macchina e aprì la porta per uscire: in una ventina di minuti, se non c’era traffico, sarebbe arrivato puntuale, come sempre, in capannone. Al paròn piacevano le persone puntuali.
Ma appena chiusa la porta dietro di sé, già con un passo automatizzato in direzione del garage, qualcosa di indistinto, là fuori per strada, gli creò  per un breve istante un breve cortocircuito.
Lele si fermò.
Il mondo, a quell'ora, Lele lo conosceva alla perfezione, in ogni suo dettaglio: un perfetto movimento collettivo, assonnato ma sincronizzato, con odori e rumori specifici che erano sempre quelli. E che davano la certezza di non star ancora sognando a letto.
Ma qualcosa, quel giorno, era diverso.

Dietro alla siepe di casa sua, per strada, non c’era quel solito viavai rituale di macchine appena accese tutte dirette verso il proprio luogo di lavoro ordinate e puntuali come automi telecomandati.
C’era invece un brusio di voci.
E c’era della gente!
Gente!
Gente che si guardava attorno, un po’ confusa.
Qualcuno, appena uscito da casa, senza capire niente, abbozzava una domanda al vicino.
E il vicino faceva una faccia strana come per dire “e ché ne so, io?”.
Anzi, a dirla tutta, il vicino diceva proprio un vero “e cossa vutu che ghe ne sapie mi?”
Lele si passò la mano davanti alla faccia, si stropicciò gli occhi e tornò a guardare incredulo fuori dal suo giardinetto per capire cosa diavolo stava succedendo.
La sua bocca semiaperta e la sua espressione non proprio scaltra, che erano sicuramente dovute principalmente al sonno mattutino, non lasciavano però molti dubbi sul fatto che anche lui non ci stesse capendo un gran ché su tutta sta storia.
Gente per strada...
di mattina...
in un giorno lavorativo...
così... senza motivo...
Assurdo.

Vista la situazione eccezionale, Lele decise di interrompere il suo quotidiano e automatico percorso verso l’automobile e, spinto dallo stupore e dalla curiosità di capirne di più, aprì il cancello del suo giardinetto e guardò per strada a destra e a sinistra.
C’erano molte persone per strada, tutte con la sua stessa espressione smarrita, ma la cosa più sconcertante era un’altra:
Tutti, ma proprio tutti, erano vestiti di bianco!
Lele non poteva crederci... sembrava uno di quei film strani, inspiegabili, che nessuno capiva... una specie di nuova serie di Netflix... una di quelle mezzo inquietanti.
Con un istintivo riflesso spontaneo dovuto a un antico e segreto senso di inadeguatezza cronico, Lele abbassò lo sguardo per vedere se i suoi vestiti stonassero in mezzo a tutta quella uniformità cromatica, ma si rese conto con stupore che, anche lui, per puro caso, quella mattina si era vestito completamente di bianco!
“Che coincidensa assurda!” pensò “no me vestisso mai de bianco, mi...”.
Non ricordava neanche, a dire il vero, di aver mai comprato o indossato dei vestiti bianchi, ma quella era l’ultima delle sue preoccupazioni in quel momento.
In un modo che non si può certo definire molto originale, Lele si avvicinò a uno dei suoi vicini di casa che era appena uscito dal suo giardinetto: sguardo stranito e vestito di bianco anche lui, bocca spalancata e senza parole. Anche lui.
Lele parlò con la voce roca di uno appena sveglio e, mentre si guardava attorno, gli chiese: “ma... Michele... ma cossa sucede qua?”
Michele lo guardò con gli occhi spalancati, stupito come se vedesse un fantasma, e disse: “e cossa vutu che ghe ne sapie mi?”
Lele incassò la prevedibile risposta, sentendosi un po’ meno intelligente di Michele, che invece si era difeso verbalmente nel modo giusto, anche se in fondo entrambi ne capivano esattamente uguale rispetto a tutta quella situazione.
Lele si sentì di avere almeno il diritto di aggiungere un’altra osservazione: “sì, ma par cossa xeo che te sì vestìo de bianco?”
Michele lo guardò con un fare infastidito: “xe par coincidensa che me go vestìo cussita, mi! Mi no me vestisso mai de bianco! E ti invesse? Par cossa te gatu vestìo de bianco, ti, come tuti chealtri?”
Lele guardò da un’altra parte e borbottò qualcosa simile a un abbozzato “ma va in mona” (che era la conclusione che tutti si aspettavano a una conversazione logica in a una situazione assurda come quella).
Perciò nessuno si offese e Lele si allontanò dal suo vicino di casa e si avviò verso la piazza del paesello di Ca’Bromestega.

Durante quei quattro passi che lo separavano dall'incrocio che tutti consideravano tradizionalmente la piazza centrale di Ca’Bromestega, Lele aveva potuto ascoltare per sbaglio ciò che si dicevano degli altri vicini.
Tutti si chiedevano il perché di quella situazione, ma nessuno aveva una risposta. Qualcuno si ricordava che comunque doveva andare a lavorare subito per non fare in ritardo, ma qualcun altro lo avvertiva che ci avevano già provato, ma oggi le automobili non funzionavano...
“A te vedarà che anca sto colpo go da ciamar el mecanico!”
Un po’ tutte le conversazioni, poi, finivano con un vago “ma va in mona”, o qualcosa del genere, abbozzato tra le labbra di questo o quel vicino.

Arrivato in piazza Lele vide che c’era una piccola folla di concittadini, tutti abbigliati di bianco come lui e dello stesso umore.
Solo una persona era vestita di nero e per questo era diventata, chiaramente, il centro di tutta l’attenzione di quella piccola folla.
Portava in mano un grande crocifisso: era il parroco, don Gino.
Ma neanche lui non sembrava particolarmente a suo agio...
Stavolta non sembrava essere a causa del ronzio costante delle bestemmie che, involontariamente, aprivano e chiudevano gran parte delle conversazioni dei fedeli della sua parrocchia. Sembrava invece che anche lui non sapesse esattamente cosa dire o cosa fare in quella situazione strana...
Allo stesso tempo però tutti gli chiedevano spiegazioni dettagliate su cosa stesse succedendo: in fondo era l’unico vestito di nero, qualcosa avrà pur voluto pur dire, no?
Il prete era della stessa opinione e ci provava a dare spiegazioni, ma tutte le volte che cominciava ad abbozzare una risposta, subito si distraeva e tornava a guardarsi in giro con quell’aria un po’ persa.
Contava i fedeli vestiti di bianco. Il grosso crocefisso sembrava impacciarlo, non sapeva dove metterlo, perché mai lo aveva preso? Gesù dalla croce osservava tutti con un’aria tra il melanconico e il disinteressato.
Insomma, don Gino non ci capiva niente come tutti gli altri.
Ogni tanto, tra una frase e l’altra, sembrava recitare anche un Ave Maria, ma forse si trattava solo di un’esclamazione.

Tutti i vicini di Ca’Bromestega ormai erano in piazza: uomini e donne, vecchi e bambini.
E tutti vestiti di bianco.
Il parroco ad un certo punto decise di interrompere il brusio di domande, bestemmie involontarie, risposte sgarbate e di “va in mona” di chiusura di conversazione. Prese coraggio e parlò forte sopra alle voci di tutti e disse:
“Fratelli, beh, siamo tutti qui riuniti... in pace... siamo qui tutti, insieme, nel nome di Dio...  e tra l’altro ho appena sentito il Sindaco... e come avete visto tutti, mi ha confermato che oggi è giorno di festa. Gloria al Signore, quindi. Vedo che tutti siete svegli e vestiti come si deve. Oggi è un grande giorno di celebrazione... evidentemente... quindi ringraziamo il signore nostro Dio per questo evento e... e dunque... incamminiamoci fratelli, sù, dai.”
La gente si guardò senza afferrare bene il messaggio: oggi non era un giorno di festa: era un giorno di lavoro! Capannoni, trattori, camion, consorzi, muletti e fatture... Produzione, insomma! ma di che festa stavano parlando?

I bambini invece saltavano e correvano tra le gambe della gente imbronciata, felici di avere un giorno di inaspettata vacanza da scuola.
Le vecchie erano già pronte: tutte avevano portato da casa, per precauzione, il rosario di plastica bianco nel caso ci fosse qualcosa da pregare. E infatti avevano indovinato!
I vecchi invece avevano un tipo di conversazione diversa con la divinità: non adoperavano il rosario e tendevano piuttosto a rinfacciare dettagliatamente a Dio le cose non erano state fatte come si deve.
Il parroco decise di dare un movimento a quella baraonda e iniziò a camminare verso una stradina qualsiasi.
Alla fine, anche se un po’ di controvoglia, tutti iniziarono a formare una lunga processione borbottante, confusa e rassegnata.
Seguivano il crocifisso a testa bassa, poco convinti che quello fosse il giorno giusto per fare quelle cose sacre, ma se proprio c’era la processione da fare e se lo diceva il prete e il Sindaco, allora la processione andava fatta e basta.

La fila di gente vestita di bianco era ormai avviata.
Ogni tanto il parroco diceva qualche parola santa e il resto della gente ascoltava o ripeteva con tono di lamentazione, soprattutto le vecchiette.
Una voce stridula, di colpo, stonò dentro a quel cantilenare liturgico e distratto: era la voce di Alvise Sartor, detto “Schivanèa”: un ragazzino di 5 anni, figlio del panettiere.
Il ragazzino, inspiegabilmente, tutto d’un tratto chiese al parroco, gridando a squarciagola:
“Don Gino, don Gino! Ma per chi è questa processione?”
Tutti si fermarono di scatto.
Il dubbio tornò a serpeggiare tra le anime dei fedeli spaesati.
Un silenzio teso calò di colpo su tutti presenti.
Tutti erano in attesa di una risposta a questo importantissimo e urgente quesito che nessuno aveva proprio previsto.

Il parroco, un po’ a disagio, deglutì, poi guardò al cielo e disse: “questa processione...”
Poi attese qualche lunghissimo secondo in silenzio... (i parroci, si sa, sanno come catturare l’attenzione del pubblico: è una deformazione professionale, lo fanno anche senza volerlo. È più forte di loro). Alla fine disse, come fosse una liberazione:
“Questa processione è per la Madonna.”
Tutti sospirarono di sollievo e gridarono “per la Madonna! Per la Madonna!”

I presenti tornarono allora a star sereni e ripresero di nuovo la processione, anche se sempre a testa bassa e a muso duro.
Sembrava che adesso tutto fosse finalmente tranquillo.
La bianca carovana di persone assonnate avanzò senza intoppi per qualche altro minuto ancora (senza per altro aver molto chiaro dove stava andando...), ma ben presto Schivanèa, che era rimasto pensieroso alla risposta del parroco, urlò di nuovo con quella sua vocina fastidiosa:
“Sì, ma che Madonna è? La Madonna nera? La Madonna Vergine? La Madonna addolorata?... ce ne sono tante di Madonne... mica solo una! ...e questa che Madonna è?”
Subito la madre fece volare una sventola sulla nuca del ragazzino per farlo star zitto una volta per tutte, ma era già troppo tardi: tutta la gente cominciò di nuovo a inquietarsi e questa volta la questione sollevata era davvero troppo difficile da risolvere per tornare a star tranquilli come se niente fosse.
Ognuno ormai aveva il dovere di commentare il suo punto di vista.

C’era chi avanzava dubbi sul fatto che davvero ci fosse “la Madonna giusta”.
Altri, più sbrigativi, ne proponevano una classica, ben conosciuta da tutti, che va sempre bene.
Altri ancora invece volevano approfittare di quella inusuale occasione per dar più luce a una di quelle Madonne che di solito non vengono quasi mai celebrate. Citavano nomi mai sentiti prima.
C’era poi anche chi discuteva in modo molto accanito solo per dire che in fondo bisognava essere più concilianti: una Madonna vale l’altra e era solo il caso di sceglierne una qualsiasi e di continuare a camminare.
Infine chi non credeva alla Madonna non riteneva che, solo per questo fatto, non dovesse dire la sua: ognuno era libero di argomentare il proprio parere riguardo alla Madonna più opportuna per questa processione, fosse egli credente oppure no.
Il brusio era ormai onnipresente. Non si riusciva più a capire niente. Era un caos. L’anarchia!
Tutto sembrava ormai essere andato per sempre alla deriva.

Ma a volte succede che, in mezzo al frastuono e alla confusione, appare uno di quei momenti inspiegabili in cui tutti tacciono contemporaneamente proprio mentre qualcuno dice la cosa importante. In quei momenti miracolosi il baccano svanisce di colpo come per magia e nell'istante successivo, inondato del più cristallino silenzio, si sente solo un’unica voce e niente più.
Il messaggio pronunciato in un momento come questi non può essere ignorato da nessuno.

Fu Alessandro Sartor, il fratello minore di Schivanèa, che aprì bocca al momento giusto, e gridò, ridendo, la sua idea personale:
“lo so io! Lo so io! È per la Madonna della Bomba Atomica!”

Il mistico silenzio aveva oramai reso la frase imponente.
Tutti rimasero zitti e si girarono a guardare il bimbo, di tre anni, vestito per coincidenza di bianco anche lui: rideva felice, tutto fiero di aver dato la sua opinione e che tutti la avessero ascoltata attentamente.
Era evidente che ai suoi occhi di bimbo la proposta gli risultava geniale, bellissima, sublime, un’ispirazione per tutti.
A questo punto però nessuno sapeva più cosa dire.
Cedettero dunque la responsabilità della decisione al prete.
Anche il parroco era senza parole e si guardava attorno per capire cosa ne pensavano i fedeli e cercare aiuto.
Un vecchio con il cappello (bianco anche quello), stanco di tutta quella solfa, ruppe il silenzio e disse: “va ben, va ben. A Madona de a Bonba Atomica... va ben, dai. Se ghe xe a Madona de a peste e a Madona de a batalia, va ben anca questa, ciò! Basta che ndemo vanti però, che mi me go zà stufà de caminar. E me fa mal i ossi”

Tutti ascoltarono un po’ stupiti quelle ultime sorprendenti, ma ragionevoli parole.
Nessuno disse più nulla.
In fondo nessuno voleva complicare oltre la già complessa situazione del parroco e nessuno voleva, soprattutto, cominciare a porsi troppe domande... perché a domanda, risposta... e questo può essere un gioco molto pericoloso per la stabilità psicologica di una comunità in una situazione di confusione e smarrimento così grande.
Quindi praticamente tutti abbassarono la testa e ricominciarono a dondolare lentamente per far riprendere al più presto la processione.
Il parroco, un po’ incredulo, ma spinto dalla volontà dei suoi fedeli, accettò la sua nuova missione cristiana di guidare i concittadini a di celebrare questa nuova e sconosciuta Madonna della Bomba Atomica.
Don Gino si ricompose rapidamente, fece una faccia seria e sicura, e alzò il crocifisso in aria, dicendo forte: “Madonna della Bomba Atomica, prega per noi!”
Alcuni non erano entusiasti di questa nuova Madonna: trovavano l’idea vagamente sacrilega, ma d'altronde, se il prete la accettava, in fondo, qualcosa di giusto doveva pur esserci.
Era lui l’esperto, tutto sommato.
Un professionista del settore sa sicuramente di cosa si sta parlando.
Così anche quelli accettarono di seguire docilmente il gruppo in processione, criticando (questo sì) tutta quella storia, in modo da avere comunque sempre ragione.
Dicevano:  “tanto se el prete el se sbalia xe colpa sua: el xe lù chel ga dito de sì a tuta sta storia dea bonba atomica. El se a vedarà lù, dopo, co so paròn, là sora...”
Risolti quindi i dubbi teologici degli ultimi fedeli poco convinti, finalmente adesso tutto poteva avviarsi tranquillamente.
Tutti avevano assunto la loro posizione e le loro responsabilità sociali.
Tutto in ordine insomma. Tuto puìto.

La processione finalmente riuscì ad andare avanti per un bel pezzo con una certa sacralità e non si poteva negare che cominciava ad essere abbastanza soddisfacente da tutti i punti di vista.
Il parroco guardò compiaciuto la fila di persone dietro di lui e si tranquillizzò: tutto adesso era sotto controllo. Adesso sì sembrava una processione vera, come tutte le altre, una processione come si deve!
Tutto troppo bello per essere vero, insomma... ed ecco che, con un certo spavento, don Gino sentì qualcuno che gli strattonava la saia con insistenza... quel giorno il Signore lo voleva proprio mettere alla prova...
Con un pizzico di panico controllato il prete guardò in basso temendo di imbattersi in una nuova complicazione imprevista...
Ed eccolo: era di nuovo Alessandro Sartor, quel piccolo bambino, precoce inventore della dedicatoria divina di quella strana processione.
Tirava la saia del parroco per attirare la sua attenzione: voleva dirgli qualcosa.
Il bamboccio evidentemente ci aveva preso gusto ad essere ascoltato.
Sicuramente adesso voleva aggiungere più dettagli alla sua creatività mistica riguardo alla Madonna, trasformando così la sua vittoria sociale in un vero e proprio trionfo.
Il prete sentì sulla fronte una goccia di sudore freddo...

“Che cosa c’è Alessandro?” chiese il parroco inquieto...
Alessandro, ridendo, rispose:
“Don Gino, la Madonna della Bomba Atomica ha la pelle verde! E ha le ali da farfalla!”
Don Gino si guardò intorno, con un sorriso isterico e uno sguardo insicuro.
I fedeli attorno invece lo stavano guardando imbronciati, seri e inquisitori, osservandolo attentamente, con una certa minacciosità...
Il prete allora tentò la soluzione più sbrigativa: guardò il bimbo e disse ad alta voce: “certo, Alessandro. La Madonna della Bomba Atomica è verde e ha le ali da farfalla”.
Poi aspettò ad occhi chiusi la reazione della comunità, sperando nel miracolo.
Tutti risposero forte in coro “Amen!” e si rimisero in marcia.

La processione continuò per quasi tutta la giornata, facendo il giro di tutte le stradine del paese, alcune anche cinque volte.
E questa volta tutto continuò senza più nessun intoppo.

Contro ogni previsione quindi anche quel giorno fu solo un altro giorno di normalità in pianura e tutto filò liscio e tranquillo come sempre nel paese di Ca’Bromestega.

La sera tutti tornarono a casa stanchi, ma anche abbastanza soddisfatti.
Solo più tardi, al tramonto, si alzò un vento freddo, improvviso e minaccioso.
In lontananza, nell'orizzonte, una grande nube, come una colonna gigantesca, si elevò nel cielo rosso.
Ma non era una nube di pioggia.


Tuesday, 2 June 2020

historia XI resumida


Avidez y riqueza. Abundancia y prosperidad. Violencia y muerte.
El tesoro: ligereza o peso?
Manos llenas de deseo en el oro...
Ojos abiertos casi no miran tanta es la luz... que ciega.
Cofre abierto, cofre cerrado, cofre cerrado, cofre abierto.
Manos que sacan manos que sacan manos que sacan manos.
Quién se queda al final?
Y a qué precio?
Con el oro todo precio se paga. O no.
Los ojos se cierran para no mirar la única respuesta.
Bendición o maldición? Lo tomas o lo dejas?
La vida es un tesoro. No se vive sin tesoro, pero con el tesoro puedes vivir?

El tesoro dice: “aunque me hayan generado bandidos y asesinos yo no tengo su violencia en mí. Yo soy sólo abundancia. Si quieres limpiar mi oro de la culpa de los piratas y de la maldición de los criminales sólo tienes que aprovecharme y hacer un trabajo: ser más feliz, ser más altruista y ser menos inocente. El tesoro ya lo tienes, lo que ya no tienes es la opción de dejarlo. En el fondo cada tesoro tiene su precio.”

Sunday, 31 May 2020

historia XI


Y de nuevo el tesoro cayó en las manos de otros hombres…
Una y otra vez… de mano en mano, de espada en espada, de cofre en cofre, de cueva en cueva, de agujero en agujero…
Quién habrá sido el primero en tenerlo? Nadie ya lo sabe… esto se ha perdido en las nieblas de los tiempos. Sólo queda el tesoro, real, brillante, hipnótico. Parece casi olvidar todo el rastro de aventuras y violencias que lo condujo hasta allí.
Parece tan… hipócrita! Tan nuevo! Tan inocente! Tan bueno...

El hombre que esta vez lo tenía en sus manos estaba viendo tan sólo esa parte, la parte brillante y generosa, de este tesoro recién descubierto. Y estaba entusiasta!

Quizás cansado de ver tantas veces las mismas fugaces alegrías de los humanos, tan inconsistentes y efímeras, el tesoro decidió hablarle al hombre, esta vez.
“Hola explorador! Me has encontrado finalmente, ya veo que estás muy feliz de tenerme en tus manos. Y me lo creo! No sabes cuanta gente quería estar en tu lugar, ahora! Sin embargo te tengo que avisar que tu felicidad está ya en peligro! Piensa en eso: antes de encontrarme ibas ligero y tenías todo que ganar! Ahora en cambio vas cargado de peso y sólo tienes que perder…  No tendrás ya miedo de que algún pirata o algún ladrón te mate para quitarte ese brillante tesoro?”
El explorador se asustó al escuchar la voz del tesoro… no se lo podía creer! Un tesoro que le habla! Qué demonio es esto?
El hombre, después de unos instantes en los cuales intentó recuperarse del susto, le dijo al tesoro: “nunca se ha visto en el mundo un cofre lleno de oro que tenga voz y que hable como un humano! Tienes que ser un tesoro maldito! Alguien te echó una maldición! Quizás alguien que murió a causa tuya! Llevas contigo la mala suerte, escondida debajo de tu apariencia tan luminosa y atractiva! Maldito tesoro! Maldito tesoro!”
El tesoro no tenía ninguna intención de asustar al hombre, ni de obligarlo a dejarle allá en su lugar escondido. La verdad no le importaban nada esos cambios momentáneos. El tesoro sólo quería ahorrarle al hombre aquellas desilusiones que ya tantas veces había visto en las vidas de los humanos que luchaban para conquistarlo.
Así que simplemente añadió: “querido viajero. No soy maldito. No tengo maldición alguna. Soy lo que llegó por azar en tus manos y nada más. Puedes aprovecharme o no. Pero bien, si crees que tengo algo malo, eres libre de irte. Al fin y al cabo sólo soy un tesoro y nada más.”

El explorador se quedó mudo y inmóvil por mucho tiempo, dudando si marcharse sin el tesoro, después de tanto viaje y tanto riesgo o si tomarlo y quizás caer en la maldición que tanto temía…

El tesoro vio con curiosidad la indecisión del hombre y le dijo: “ya no sabes si arriesgarte o no?  Qué complicado es a veces recibir tanta abundancia, no te parece? Antes de encontrarme lo más precioso que tenías era tu vida. Pero ahora quizás empiezas a dudarlo, parece…”

El explorador se quedó en silencio. Así que el tesoro siguió hablando:
“Que sepas, humano, que yo sólo soy un pequeño tesoro. La vida es el tesoro más grande!
Y ahora te diré otra cosa sobre los tesoros!
Todos los tesoros, aunque procedan de muertes, asesinatos y violencias, no pueden ser malditos!
Si ves maldición en el tesoro, esa maldición simplemente te la echas tú a tu cabeza! Y dejas de aprovechar la abundancia que tienes para poder hacer algo bueno con ella.
De verdad crees que unas cuantas monedas de oro pueden ser “malas”?
No será que tal vez vienen con historias de dolor, simplemente? No será que estas monedas que ahora están en tus manos ya no quieren ser “malditas”? Este oro quiere ser usado para dar felicidad y alegría duradera a alguien, por una vez! No quieres ser tú ese alguien?
Es por eso que he decidido hablarte: en vez de rechazar toda esa prosperidad sólo por proceder del dolor, transforma este dolor en algo bueno!
Deshazla tú esta maldición. Deshazla con tu propia felicidad.
Dale un sentido a toda esta cadena de violencias y muertes que me trajeron hasta aquí! Haz que todo eso no sea algo inútil! Usa ese tesoro para que tu vida florezca y así todos los sufrimientos del pasado tendrán un fin: tu felicidad!”

El hombre se quedó boquiabierto… poco a poco se convenció. Se acercó. Tocó lentamente aquel oro. Y comenzó a poner en sus bolsos algunas monedas.

El tesoro dijo una última cosa: “lo que haces ahora es sabio, explorador! Pero que sepas que esta abundancia que finalmente aceptas viene con unos deberes para ti:
- Si no quieres ser cómplice de todos los ladrones que me recolectaron en el pasado, tienes la obligación interna de usar el tesoro para la felicidad y de donar parte de esa abundancia a los demás.
- Deberás, además, agradecer a los que te permitieron tener ese oro en tus manos, incluso a los asesinos más crueles. Si eres rico es gracias a ellos.
Eso quiere decir que tienes bastante trabajo: tienes que ser más alegre, más altruista y menos inocente.
Todo tesoro, en el fondo, tiene un precio.
Incluso la vida que es el tesoro más grande.”


Tuesday, 19 May 2020

historia X


- “Y ahora donde te pararás? Decidirás quedarte quí en la isla del tesoro o intentarás volver a tu tierra para hablar de tus descubrimientos?
Si vuelves dejarás a tus espaldas esta nueva isla que acabas de descubrir… si en cambio te quedas, tu corazón deberá volver con tu recuerdo a todos los lugares que has dejado atrás para darle un sitio en tu historia.”

-“Al parecer entonces no hay manera de no perderlo todo! Sólo te quedas con una cosa y pierdes todo el resto del mundo! Cuánto más viajas, más cosas te quedas atrás, así que cuánto más encuentres, más pierdes…”

-“No mires tan solo tu punto de salida y el punto de llegada, marinero! Tu vida es irte de un puerto al otro, no me dirás que toda la inmensa mar que hay entre puerto y puerto no existe! Esta mar es tu viaje, tu destino y lo que te da de vivir!
Tú eres un marinero. Te defines con el mar, con el viaje.
Es el viaje lo que te da sentido.
Y sin viajes no hay puertos.
Es el moverse lo que da sentido al lugar.

Mira el cielo, te has dado cuenta? Cada una de las estrellas se parece tanto a las otras que no podrías distinguirlas. La distingues por su lugar en relación a las otras: es gracias a las líneas invisibles que unen los puntos que tú reconoces las constelaciones en el cielo.
Y con ellas te guías por los mares…
No es el punto, es el vacío que hay entre los puntos que llena de sentido.

De hecho, cómo reconoces un faro a lo lejos en la noche? Es una pequeña luz, exactamente como una estrella.  Sabes que es un faro sólo porque su luz desaparece y luego vuelve.
Es la oscuridad que manifiesta la importancia de la luz.

Dicho de otro modo, lo perdido da sentido a lo que tienes ahora.

Así que mírate alrededor. Dibuja tu nuevo mapa.
Ve los viajes que te han traído hasta aquí, es gracias a ellos que este lugar es mágico y sagrado para ti. Y el puerto de donde zarpaste, será mucho más mágico cuando regreses, porque no hay como volver dos veces al mismo sitio… todos los sitios después de un viaje son diferentes.
Todo el pasado que dejas atrás, toda la gente de las que te despediste, están dando sentido a tus pasos en este mundo.
Así que marca tu ruta en el mapa ya que todos tus pasos siempre están dentro de ti.
Y amplia tu visión, amplia tu mapa.
El mundo siempre es del mismo tamaño, pero cuando el mapa se hace más grande los lugares también tienen un sentido más grande.

El viaje nunca termina.
Que te quedes o que te vayas, siempre estás viajando.

Y este es el tesoro: saber de dónde vienes y el sentido de estar en este lugar.


historia XV


Seguía el barco navegando por los mares y ya hacía mucho tiempo que todo estaba especialmente tranquilo… quizás demasiado… Aquella paz especialmente perfecta parecía preparar el terreno a algo nuevo, algo diferente… Por alguna razón que nadie sabía explicar la tripulación comenzó a estar un poco inquieta…
Al cabo de unas horas una negra tempestad apareció al horizonte… una tormenta tropical profunda y espantosa! Y se acercaba rápidamente en dirección del barco.
Hasta el capitán se asusto de aquel azul profundo que congelaba la sangre en las venas… mandó bajar las velas frente al fuerte viento que comenzaba a soplar. Tenía miedo que las velas se rasgasen y que las cuerdas se rompiesen dejándoles perdidos en el mar a la deriva.
Esperaba con todo su corazón que la tempestad pasase lejos de allí, sin acercarse demasiado.
Pero las nubes parecen crecer en fuerza y tamaño. Se comienzan a ver rayos luminosos como grietas en la profunda oscuridad de la tormenta. La tripulación comienza a temer lo peor.
El capitán no sabe que hacer así que se acerca a la balaustrada en dirección de las negras nubes y le pregunta qué hacer al viento: esperar con las velas bajadas o alejarse lo más rápido posible con el riesgo de rasgar las velas y quedarse a la deriva?

El viento pronto le contesta: “capitán! Me temes ahora que te soy amigo? Si no aceptas ahora mi ayuda, acabarás teniéndome como enemigo de tu viaje. No dudes más! Usa mi fuerza propicia y aléjate ahora!”
Pero el capitán, aún lleno de miedo y sin saber si creer en la voz del viento contestó: “Oh viento del Norte, tu fuerza es tremenda y si yo no te controlo bien acabarás siendo mi ruina… puedo realmente confiar en ti?”
“jajaja. Mi querido hijo, eres hombre de mar y ya me conoces bien: es verdad, soy temible pero sin mí no puedes irte a ningún lado. Yo soy la fuerza que te permite el viaje! Si tienes dudas, ata mejor tus cuerdas, o átala dos veces a lo que tienes de más sólido! Usa todo lo más firme que tienes para estar fuerte, pero confía, y ábrete a mi soplo! Sin él tan sólo acabarás estando aquí, estancado, esperando tu inevitable ruina!
Y no te asustes por las negras nubes que empujo al horizonte, no las mires! mírate en tu centro, ahora! Si te soy favorable y amigo, tienes que aceptar mi ayuda. Si no lo haces será peor para ti”.
“dices la verdad, oh viento. Pero tú eres incontrolable… y a uno sólo de tus soplos más fuertes mis velas se pueden rasgar y acabaremos arruinados y perdidos en la vasta mar…”

“No seas tan ingenuo, capitán: el viaje al mar no es una opción, ya estás en ello!
Estas son las reglas del mar! Acéptalo! Confía en tus compañeros que tejieron y construyeron las velas, las cuerdas y los mástiles de tu navío! Confía en ellos! Seguro que han trabajado duro y incesantemente pensando en estos momentos!
Y ahora despliega tus velas, hombre de mar!
Las velas están hechas para recibir el viento! No les prives de este placer!”

El capitán agradeció el consejo del espantoso viento del Norte que seguía rugiendo en el cielo y en seguida ordenó a su tripulación de desplegar todas las velas lo más rápido posible.
Un marinero se acercó preocupado y le preguntó si estaba seguro de lo que hacía… todo el mundo tenía miedo de aquel viento y de aquella tempestad… se sentían tan pequeños y frágiles…
Y entonces el capitán habló a toda la tripulación con voz fuerte y segura: “acepten los miedos, compañeros. Acepten que somos pequeños, pero confíen!
Las velas están empujadas por el viento tan sólo porque aceptan su proprio vacío! Y resisten en su sitio tan sólo porque están atadas con doble cuerdas a los mástiles y no pueden moverse a ningún otro lugar.
Así nosotros  también estamos atados y sin opción, con el vacío de nuestro miedo en nuestros corazones: pero será justamente por eso el poderoso viento del Norte nos ayudará”.

Así dijo el capitán, las velas fueron levantadas y rápidamente el navío se alejó y se salvó de la tempestad, empujado por los fuertes y constantes vientos rugientes.


Thursday, 14 May 2020

acabando un cuento...


Respondiendo a una invitación poetica de Alejandro Jodorowsky...



(Para los que se pregunten si gané este pequeño concurso de inspiraciones extemporáneas, la respuesta es 'No'. Pero fue una escusa sublime para realizar este pequeño cuento).

Wednesday, 22 April 2020

historia V


“Sabías que las rosas de los vientos son diferentes cada día?” dijo el viejo marinero al joven que lo observaba perplejo sin entender bien la pregunta…
“las rosas de los vientos… Sabes de lo que te hablo?”
El joven dijo que sí con la cabeza pero estaba claro por su mirada que no entendía bien de lo que iba todo aquel asunto…

El viejo lo miró con sus ojos penetrantes y luego bajó la mirada y volvió a concentrarse en su trabajo: sus manos expertas estaban anudando una cuerda gruesa y rígida.

Después de un rato de nuevo el viejo quebró el silencio:
“la gente ve la rosa de los vientos y cree que siempre te enseña lo mismo: Norte, Sur, Este… Tramontana, Gregal, Mistral… pero no es así.
Un día el Oeste es fuerte, el día siguiente es minúsculo, insignificante, casi no se ve más.
Un día el Sur-Oeste se convierte en el nuevo Norte, pero un momento después ya se transforma en su opuesto. El opuesto del Norte!
Y cuál crees tú que sea el opuesto del Norte?
El Sur, dirás.
Pues… la verdad es que… depende!
Depende del día…
Un momento es el Este, otro momento es el Sur-Este.
Hay veces incluso que el opuesto del Norte es el Norte mismo!”

El joven miraba con los ojos abiertos y sin palabras al viejo marinero que seguía serio y concentrado en su cuerda…
no podía creerse lo que estaba escuchando… ¿quizás aquel hombre estaba loco?
De repente le joven dijo: “abuelo, pero qué me estás contando! El Norte es el Norte y el Sur es el Sur, siempre fue así. Es así que los marineros se guían, desde siempre… no entiendo cómo puedes decir que todo cambia a cada segundo…”

Y el viejo, sin levantar la mirada de su labor manual, pero quizás con una pequeña sonrisa dibujada entre las arrugas, le contestó, tranquilo:
“Claro que todo cambia!
Todo cambia, como las olas del mar.
Cómo no van a cambiar los puntos cardinales?
El marinero se lanza a la mar sin saber nada y luego verá como seguir su rumbo…
Se trata de hecho de una apuesta, de un arriesgo, de un atrevimiento: empieza con un rumbo pero luego se da cuenta que ya se ha transformado en otro, así que tiene que ajustar su viaje y reinventarlo para seguir buscando lo que busca.
Y lo más divertido: sabe él lo que busca? Sabe él cual es su verdadero norte?
Al final, te darás cuenta, todas las direcciones no so rectas rectas son como serpientes marinas que van deslizando sinuosamente. Tentáculos imprevisibles. Vivos.
Y hay infinitas direcciones en continuo movimiento. Encontrar el Norte verdadero, el Norte exacto, dentro de esta fluida infinidad, es imposible.”

Ahora el joven estaba confundido de verdad… no entendía de qué estaba hablando este señor. Seguramente estaba loco!
O peor aún, se estaba mofando de él!
Ah, claro: seguro que le estaba tomando el pelo! Lo estaba tratando de estúpido!
En seguida el joven se irritó terriblemente.
Se levantó de repente, miró el viejo con resentimiento y, ofendido, sin saludarlo se giró para marcharse de allí, lo más lejos posible.

Ya estaba a unos cuantos pasos de distancia cuando escuchó de nuevo la voz segura y tranquila de aquel viejo y no pudo evitar de ponerle atención:
“Mi querido joven, de qué sirve alejarse tanto?
No ves que todos tus pasos que te alejan de mí, si los sigues hasta el final, acabarían trayéndote aquí de nuevo? Esto se llama circunnavegación! Cuanto más rápido te alejas, más rápido acabarás volviendo aquí a este pobre viejo.
Cada dirección parece que se aleja de las otras, pero en realidad, lo que hace es irse a la búsqueda de su opuesto para volver al centro.
Todos los Nortes están atraídos por sus Sures”.

De repente la irritación del joven se esfumó en un instante: ahora entendía que aquel viejo hablaba de algo más interesante de una simple rosa de los vientos… algo que quería decir algo más de lo que parecía al principio…

El viejo levantó los ojos profundos cuanto el mar para ver si ahora de verdad el joven escuchaba atentamente y con su voz lejana como el viento del Sur dijo una última cosa:
“Cuando sale del centro toda dirección se aleja de las otras simplemente para volver a abrazarse de nuevo con ellas en el mismo centro, al final del viaje. Pero antes de poder volver, ha de pasar por sus antípodas que es su centro opuesto, su centro oculto, el más difícil de alcanzar!”

Y al cerrar la boca, como si se tratara de un fantasma, el viejo despareció de repente y la cuerda que sujetaba en sus manos cayó al suelo…
Ya no había nadie allí!

El joven, asustado, abrió los ojos de repente! Se había dormido un segundo, mientras trabajaba sentado sobre las cuerdas junto con el viejo marinero!
Qué susto! Seguro que había soñado todo… todo aquello fue tan sólo una loca imaginación.
Respiró profundo, se tranquilizó y volvió a la realidad.
Pero aquel sueño aún le parecía tan real…

Se miró alrededor y todo estaba normal.
El viejo, concentrado en su trabajo, en silencio seguía anudando su cuerda gruesa y rígida con sus manos expertas.

Tan sólo una pequeña sonrisa, quizás, estaba dibujada en su cara, entre sus arrugas misteriosas…