Friday, 23 July 2021

etimologia veneta

Giocando a realizzare il post "Connessioni Linguistiche" tra varie lingue e il dialetto veneto, ho approfittato per fare la lista di tutta una serie di parole prettamente venete che hanno corrispondenti con altre lingue che conosco o con le quali sono venuto in contatto.

Il post è tra il serio e lo scherzoso, essendoci delle connessioni ovviamente non riconducibili a influenze mutue tra Veneto e altre lingue (a volte si tratta di assonanze, a volte di ascendenze comuni dal latino o dalla radice indoeuropea o a volte di prestiti linguistici comuni). 

Tuttavia a volte la connessione storica c'è! 

E frugando un poco qua e là ho scovato le etimologie di alcune parole emblematiche della parlata veneta!

La scientificità di queste origini etimologiche potrebbero essere dubbie: alcune etimologie sono dei ritrovamenti fatti in internet, ipotesi possibili e, la maggior parte, sono delle teorie mie di cui, però, sono piuttosto sicuro, avendo io il pallino della linguistica.

(Lascio comunque da parte le etimologie di parole fin troppo ovvie come "schei", "tosato", "onbra", "caívo", mona", "ciao", etc... e anche quelle di parole che pur essendo molto tipiche, hanno una corrispondente diretto chiarissimo con analoghe parole italiane, e quindi analoga etimologia, come per esempio "strassa" e "straccio", "scavessar" e "scavezzacollo", "naransa" e "arancia" oppure "ciapar" e "acchiappare...) 

Lascio dunque qui una lista di parole dall'etimologia "ritrovata" affinché internet le conservi e le mantenga disponibili a futuri studi...

Cominciamo!

- Àmia (zia) viene dal latino "amita" ovvero zia paterna.

- Bagigi (arachidi) deriva da una parola araba e cioè il termine "habb'aziz" dal significato di "bacca rinomata".

- Barco (rimessa per attrezzi), anche se può sembrare affine alla parola "barca", sembra invece essere una derivazione del termine latino "parcere" ovvero "contenersi". Parole latine come "bareca" e "parricus" significano rispettivamente "edificio rustico" e "recinto". Questa origine sarebbe quindi la stessa della parola "parco" o di termini relativi al contenersi quali il verbo "risparmiare" o l'aggettivo "parco" (e siccome la radice indoeuropea è comune ad altre lingue, si tratta di una parola vicina al tedesco "pferch" cioè recinto, "to spare" inglese, etc). L'idea del recinto sembra probabile, vorrei comunque proporre anche un'origine diversa e cioè la parola araba "bàrchane" o "bargah" che significa "tenda", "padiglione" e anche "luogo dove conservare le merci". Etimologia già suggerita da alcuni studiosi per la parola "baracca".

- Baro (cespo o cespuglio) deriva dalla radice celtica "barros" dal significato di "ciuffo", "cespuglio".

- Baúco (tonto, scemo) sembra derivare dalla stessa origine del termine spagnolo "embaucar" che significa "ingannare", "prendere per i fondelli". Secondo gli studi sull'etimologia del termine spagnolo sembra che la parola derivi dal Latino "baba" come radice onomatopeica che ha originato parole come "balbuzie" e "barbaro". Se diamo credito a questa ricostruzione (che suppongo sia sostentata da studi linguistici seri) vorrei però proporre che non derivi direttamente da "baba", il che mi sembrerebbe piuttosto strana come derivazione logica, ma da "balbus" (origine diretta del termine balbuziente) e cioè qualcuno che non sa parlare. L'ipotesi che sostengo dunque è che derivi dal termine "balbuco" dove la desinenza "-uco" è dispregiativa ed è soltanto per rafforzare l'insulto.

- Becher (macellaio) deriva dalla parola "becco" e cioè il caprone. A sua volta questa viene dal Latino "ibex" e cioè capra selvatica.

- Bisso (piccolo animaletto, insetto) viene dal termine latino "bestius" e cioè "animale", "bestia", analogamente allo spagnolo-portoghese "bicho".

- Bocia (bambino) avrebbe la sua origine dal fatto che un tempo i bambini avevano i capelli rasati e quindi la testa era simile a una "boccia". Concetto non molto distante dall'idea di chiamare "tosato" il ragazzo.

- Bora (vento del nord) viene dal termine latino "boreas" dallo stesso significato. Il termine ha dato origine a parole come "burrasca" in Italiano e "bora" (raffica di vento) in Greco, ma non escluderei che avesse originato anche il termine turco "bora" dal significato di "uragano" e la parola albanese "borë" con il significato di "neve".

Boresso (ilarità, ridarella), da cui anche la parola "inboressà" è anche in questo caso una apportazione tedesca visto che la parola "berausch" significa ebrezza, allegria. Posso facilmente immaginare un abitante del Veneto che pronuncia a modo suo la parola "berausch" pronunciata come "beróiss" ma sicuramente poi storpiata in "borèiss".

- Braghe (o braghesse) viene dal celtico "braga" passando per intermediazione latina attraverso il termine "braca". È la stessa origine di "bragas" in Spagnolo.

- Branca (manciata) deriva appunto dal termine arcaico "branca" ovvero artiglio. Questo termine è l'origine del verbo italiano "abbrancare" che significa afferrare con forza, acchiappare. Alcune teorie però pendono per il termine "branco" quindi "far branco", "raggruppare", anche questo possibile.

- Brincar (acciuffare) secondo me potrebbe derivare dal termine latino "vinculum" dal significato di legatura (così come il verbo "brincar" portoghese che però significa "giocare", "saltare"). Se così fosse il "brincar" veneto e il "vincolare" italiano deriverebbero dalla stessa radice (vediamo se qualcuno troverà un giorno le prove di questa teoria). In alternativa propongo la stessa origine della parola "branca" (manciata).

- Brìtoła significa "ronchetto, coltellino ad uncino" viene dallo Sloveno "britva" che significa "coltello".

Broar (scottarsi) è una parola di origine germanica. Deriva secondo me dal verbo tedesco "brodeln" (ribollire).

- Bromèstega (brina, gelo mattutino) deriva dal latino "bruma" che indica propriamente "il giorno più corto dell'anno" ovvero il "solstizio d'inverno" quindi periodo "freddo" e "gelato". Bromèstega quindi significa "evento proprio del periodo freddo".

- Bronsa (brace) dovrebbe avere la stessa origine della parola italiana, così come "brasa" spagnolo, "braise" francese, etc. Tutte queste parole sembrano derivare dalla radice germanica "brasa" (brace).

- Brosa (rugiada) viene dal latino "ros" dallo stesso significato.

- Butiro (burro) viene dal greco "boutyron" dallo stesso significato.

- Calcagno (tallone) deriva dal Latino "calx" dallo stesso significato. Da questa origine sono derivate anche le parole "calzature", "ricalcare" o "calco" (stessa etimologia di "calcanhar" portoghese).

- Całe e cioè la "via", la "strada" deriva dal Latino "callis" che significa "sentiero" (stessa etimologia dello spagnolo "calle").

- Carega (sedia) deriva dal latino "cathedra" evoluto nella forma popolare in "catecra" come si può leggere in iscrizioni a Pompei.

- Casołin (formaggiaio) ovviamente viene dal latino "caseus" (formaggio).

- Catar (trovare) viene dal verbo latino "captare" dal significato di "prendere" o "cercare di afferrare", ma che si usava anche con l'accezione di "percepire con i sensi" e quindi anche di "vedere". Da questo concetto, l'idea di "captare" come "trovare".

- Cheba (gabbia) deriverebbe dal Latino "cavea" che significa "gabbia". Non scarterei tuttavia una connessione con l'Arabo "ka'ba" che significa "scatola, cubo". Questa parola ha speciale importanza nel mondo arabo visto che il luogo più sacro della Mecca è un grande cubo denominato appunto "al-ka'ba".

- Ciò! e cioè la tipica interiazione veneta dal significato ampio e che varia tra Toh! Guarda un po'! Ehi(tu)! Ascolta! Per forza! è una derivazione del verbo "ciol!" e cioè "prendi!" così come l'italiano "toh!". Tra l'altro "cior" (prendere) si può dire anche "tor", per cui il parallelismo "ciò" e "toh" è completo.

- Cior (o anche tor) significa prendere. Viene dal termine latino "tollere" che significa "levare", come l'italiano "togliere".

- Ciuco (ubriaco) sembra essere generalmente fatto risalire dall'antico francese "clocker" con l'idea di "dondolare come una campana", come suggerito per esempio nel Glossario Etimologico Piemontese. Altre proposte suggeriscono un'associazione con la parola "ciuco" nel senso di "asino" e quindi un modo di dire che l'ubriaco diventa poco sveglio. Personalmente mi sembra più probabile un'altra ipotesi che suggerisco e cioè l'ascendenza germanica del termine. In Tedesco moderno il termine per indicare un sorso è "schluck". Il termine viene dal proto-germanico "kekǭ" con il significato di "ingoiare, bere". Date le forti influenze germaniche su tutta l'Italia del nord durante tutta la storia e l'associazione generalizzata e stereotipata dei termini relativi al bere con i popoli germanici (tipo trincar, sgnapa, birra, etc...) mi sembra più logico far risalire il termine a questa radice.

- Còtoła (gonna) deriva dal diminutivo di "cotta" (giubbetto) parola latina, ma che sembrerebbe derivare da radice germanica. L'etimologia è comunque uguale a quella della parola "cotta" italiana.

- Culier (mestolo/cucchiaio) trova un corrispettivo nell'antico Francese "cuiller" e nel Portoghese moderno "culher". Si tratta di un termine derivante dal Latino "coclear", dalla parola "cocleae" a sua volta procedente dal Greco antico "kokhlías".

- Cuna (cioè "culla") viene dal Latino "cunae", un pluralia tantum.

- Da rente (vicino) viene dal Latino "radente". In Portoghese esiste la stessa parola "rente" con lo stesso significato di "vicino", l'origine è per tanto la stessa.

- Deghejo (disastro, parapiglia) è una parola piuttosto recente nel Veneto, anche se abbondantemente diffusa. Deriva dalla pronuncia (incorretta) termine spagnolo "degüello" e cioè, letteralmente, "sgozzamento". L'origine sembra essere cinematografica, dovuta all'uso di questo termine nel film western "la battaglia di Alamo" dove l'esercito messicano metteva sotto assedio un forte usando questa parola che, tra l'altro, è il titolo della musica di Ennio Morricone per lo stesso film). "Degüello" deriva dal verbo latino "decollare" cioè "tagliare il collo o la gola" di un animale.

- Disnar (pranzare), esattamente come l'inglese "dinner", il catalano "dinar", il francese "diner" e lo spagnolo "desayunar" viene dal gallo-latino "desjunare" che a sua volta procede dal latino volgare "disjejunare" e cioè terminare il digiuno.

- Faral (o feral) che significa "fanale, lanterna" anche se sembra simile al termine italiano ha una origine diversa: deriva infatti dal latino "pharus" (faro) mentre "fanale" deriva dal greco "phanós" (lampada).

- Frègoła (briciola) deriva dal verbo latino "fricare" che significa "sminuzzare".

- Goto (bicchiere) viene dal Latino volgare "gottu(m)" e cioè piccola caraffa. L'etimologia è chiaramente analoga a quella del catalano "got" (bicchiere).

- Grassa nel senso di concime, letame, viene dal tardo latino "crassu(m)" che indica generalmente qualcosa di florido e fertile.

- Grébano (terreno pietroso e inconlto, ma anche persona rustica, zoticone) è stato fatto risalire da una radice germanica dal significato di "cresta", "monte", ma personalmente trovo più logico pensare che derivi dal latino "glaeba" e cioè "zolla di terra". 

- Guaivo,o vaivo, (liscio, pareggiato, uniforme) deriva a mio parere dalla stessa radice di "uguale", per cui "igualare" e "sguaivar" (svaivar) deriverebbero entrambi dal termine latino "aequalis" a sua volta derivante da "aequus" dal significato appunto di "uguale", "piano", "equo".

- Inciucarse che significa che qualcosa va di traverso mentre si mangia o si beve è sorprendentemente simile all'inglese "to choke" che presenta lo stesso significato. L'origine del termine risale attraverso la radice germanica fino alla radice indoeuropea, ma la connessione con il Veneto è sicuramente dovuta a influenze longobarde, franche, ostrogote o austriache. La radice proto-germanica di "to choke" è termine "kekǭ" dal significato di "ingoiare". Questa radice antica potrebbe non sembrare particolarmente simile al verbo "inciucarse", ma se pensiamo che oggi giorno il termine tedesco per ingoiare è "schlucken" vediamo che i due verbi non sono poi così distanti. Il germanismo quindi potrebbe essere più moderno, forse austriaco.

- Incoconar (ingozzarsi, rimpinzarsi, riempirsi di cibo) a mio parere viene dalla stessa radice del verbo "inciucarse" e cioè il termine proto-germanico "kekǭ" che significa "ingoiare". Considerando che il Tedesco moderno usa una parola derivata da questa radice che presenta lo stesso significato (schlucken), ma che suona già piuttosto diversa (più simile a "inciucarse" che a "incoconar"), suggerirei una apportazione linguistica antica, forse longobarda o franca.

- Infiar (gonfiare) viene dal latino "inflare" con lo stesso significato.

- Inpirar (infilare) viene dalla radice latina "pila" e cioè "colonna". Infilare in un certo senso sta per incolonnare, mettere in fila uno sopra l'altro. Anche se molti linguisti non considerano questa ipotesi a me sembra fin troppo intuitivo far risalire a questa stessa radice la parola "pirón" (e cioè forchetta).

- Inpissar (accendere) ha la stessa origine (non del tutto certa) dell'italiano "appiccare" e cioè il verbo latino "picare", probabilmente, che significa "attaccare con la pece". Questo era probabilmente il primo passo per accendere un fuoco. 

- Insenbrar (mescolare insieme) viene dalla stessa radice della parola "insieme" o del francese "ensamble" e cioè il latino "insimul" e cioè "allo stesso tempo, simultaneamente". Dalla stessa parola deriva "simile" e "assemblea", per esempio.

- Intimeła (fodera) deriva dal greco "endyma" e cioè "vestito", "copertura".

- Intivar (indovinare, azzeccare) viene dal latino "intypare" e cioè "colpire nel segno". A sua volta derivante dal greco "typos" con il significato di "colpo", "segno"

- Łarin (cioè il "caminetto") viene dalla stessa radice di "focolare" ovvero i "lares foci" che rappresenta il luogo dove si prepara il fuoco in casa, ma che rappresenta anche la stessa famiglia, infatti la parola "lar" era il nome delle divinità protettrici della casa e della famiglia. I "lares" si possono definire come la versione divinizzata degli antenati della famiglia ed erano delle statuine collocate in piccoli altari presenti dentro casa, per proteggere chi ci abitava. Questi altarini erano chiamati "lararia" ed erano il luogo sacro della famiglia. In Portoghese la parola "lar" significa "focolare" così come il termine catalano "llar".

- Marangon (falegname) deriva dalla parola "marranca" ovvero "marra" (falcetto, zappa, ascia). La parola veneta, attraverso la storia della Serenissima, è diventata il termine falegname per lingue come l'Albanese, il Greco moderno e il Turco.

- Massa, che significa "troppo", viene dal latino "magis" che significa "di più". Si tratta della stessa etimologia del catalano "massa" e dello spagnolo "demasiado" dallo stesso significato.

- Mojo, che significa "bagnato" ha la stessa origine di parole come il francese "mouiller", lo spagnolo "mojar", il portoghese "molhar" e il catalano "mullar" (tutte parole che significano "bagnare"). Anche per il Veneto quindi l'origine è la stessa: Latino volgare: "molliare" dal Latino classico "mollire" cioè soavizzare, rendere molle.

- Mołena (mollica) deriva dal termine latino "mollis" e cioè molle, soffice.

- Morbin (allegria, entusiasmo) deriva dalla parola "morbio" / "murbio" cioè vivace, allegro, ma anche rigoglioso. Questa idea di germoglio è l'origine di questo termine che deriva dal latino "morbidus" e cioè tenero, soffice, in questo caso tenero come un germoglio.

- Mussato (zanzara). L'ipotesi riportata nel Dizionario del Dialetto di Capodistria dove si afferma che il termine deriverebbe, secondo certi studi linguistici, dalla radice "musteu" dal significato di "mosto" con il suffisso "-attu" e che significherebbe "moscerino che nasce nel periodo della fermentazione del vino". Si cita, tra l'altro, l'analogia con l'Albanese "mushkonjë". Questa teoria e questa connessione logica con un animale tipico del mosto, cosa che non è tipica della zanzara, bensì, forse, del moscerino) non mi convince del tutto, personalmente mi sembrerebbe più probabile che "mussato" venga da "muscato" e cioè dal latino "musca" con un suffisso dispregiativo, origine non dissimile dallo spagnolo "mosquito".

- Musso (somaro, asino) è ufficialmente un etimo incerto, alcuni non escludono la connessione con il termine toscano "miccio" dallo stesso significato. In ogni caso anche "miccio" non ha un'origine chiara. Alcuni lo associano al termine tardo-latino "muscella" che indica il mulo. Secondo me l'ipotesi più probabile è quella del termine latino "musimo" o "musmo" con significato di "asino non castrato". questo termine viene tra l'altro citato anche nel Dizionario Comparativo Latino-Etrusco per cui non escluderei, a priori, che il termine possa derivare da una latinizzazione di un termine etrusco originario (visto che poi il termine "miccio" resiste proprio in terre etrusche e che i "musimi" erano asini tipici soprattutto della Sardegna e della Corsica, anche quelle terre di antica influenza culturale etrusca).

- Mùtara (mucchio, accumulo) mi sembra logico che derivi dalla parola "multus" latina da cui la parola "multa" e cioè un ammasso di "molte cose".

- da Nóro (vicino) potrebbe derivare dal Longobardo o da qualche antica radice germanica essendo questo termine molto vicino alla pronuncia di "nära" o "neren" o "nerian", che sono antiche parole germaniche per dire per l'appunto "vicino". Praticamente la stessa radice dell'Inglese "near".

- Onde (dove) viene dal latino "unde".

- Osar (urlare) deriverebbe a mio parere dal termine "vosar" e cioè "usare la voce", così come in Siciliano "buciari" per dire la stessa cosa. L'etimologia più antica quindi seguirebbe quella della parola "voce".

- Paciołar (sbavare o far pastrocchi con la bocca) viene dalla radice tedesca "patschen" dal significato di "sguazzare". Questa radice è l'origine di altri vocaboli veneti come "pacioro" e "spàciara".

- Pacioro (fango) deriva dalla parola tedesca "patsch" nella sua accezione di "fango", "fanghiglia". 

- Pàndar (ammettere, confessare o tradirsi, dimostrare palesemente ciò che si tenta di nascondere) deriva dal latino "pandere" che significa "aprire", "distenedersi" e quindi usato nel senso di "aprirsi", "abbassare le difese", "mostrare tutto apertamente". Si tratta dunque della stessa origine del verbo "espandere".

- Papusse (pantofole da casa) deriva dalla parola araba "babush" che indica un tipo di calzature.

- Parar in Veneto significa "dirigere", "indirizzare", ma l'etimologia è la stessa del "parare" italiano. Si tratta quindi di "parare" latino e cioè "preparare", "predisporre". L'accezione quindi è quella di "predisporre per il movimento" come nell'antico e celebre indovinello veronese dove è scritto "se pareba boves" nel senso di "tener davanti a sé" ma anche di "parar vanti" ovvero di "far procedere". L'accezione di movimento del verbo "parare" che in Veneto è l'unica possibile ("parar su", "parar zo", "parar fora", "parar vanti", "parar indiro"...) è a volte presente anche in Italiano (come nella forma "andare a parare") o addirittura già in Latino (riconoscibile nella formazione di verbi come "separare" o "sparare").

- Pegaísso cioè "appiccicoso", "viscoso" (e il termine "pégołarse" che significa "immischiarsi" oppure "pégoła" cioè "pece") vengono dal latino "picare" e cioè "imbrattare con la pece" (pece=pix, in Latino). Si tratta della stessa radice delle parole portoghes-spagnole "pegar", "desapego" e dell'aggetivo spagnolo "pegajoso".

- Pèrsego significa la "pesca", il frutto, e l'origine della parola è la stessa: viene dal Latino volgare "persicu(m) mala" cioè "mela della Persia".

- Pessa (muco nasale) credo derivi dal latino "spissus" e cioè "denso".

- Petar significa sia "attaccare", "incollare" che "sbattere", "toccare". Parrebbe derivare dal latino "peditare" nella sua accezione di "appoggiare". In Galizia si usa il verbo "petar" per dire "battere alla porta".

- Piron (forchetta) ha un etimo incerto e dibattuto da molto tempo. È molto diffusa la teoria che il termine derivi dal greco "peronion" e cioè chiavicchia, da cui (teoricamente) dovrebbe poi derivare la parola "pirouni" che in Greco moderno definisce appunto la forchetta. Queste teorie a mio parere risentono dell'abitudine di ritenere che tutto ciò che assomiglia a una parola greca viene dal Greco all'Italiano e non viceversa. Invece chiunque conosca un po' di storia e linguistica della Grecia sa benissimo che l'influenza veneziana in Grecia è stata molto potente e ci sono molte parole venete che si usano ancora in Greco moderno come "karekla" (sedia), "kadena" (catena), "ombrela" (ombrello), "kaminada" (camminata), "boukhali" (caraffa), "banio" (bagno), "veloudo" (velluto), "moustaci" (baffi), "komparòs" (compare), "koniadòs" (cognato), "barbòs" (zio), "lemonada" (limonata), "moneda" (moneta), "bora" (vento), "kamineto" (camino), "zòveno" (giovane), "marangòs" (falegname), "pastizada" (pasticcio), "lukaniko" (salsiccia), "feta" (il formaggio greco che si taglia a fette) e altre ancora. Considerando che la maggior parte di queste parole sono di uso domestico non mi sembrerebbe azzardato che insieme al caminetto, alla sedia, al boccale di limonata e al piatto di pasticcio e salsiccia, anche la forchetta potesse essere una parola di origine veneziana adottata dal Greco e non viceversa. Questa ipotesi la sostengo per due ragioni: la prima è che non vedo l'attinenza tra una forchetta e una chiavicchia (sarebbe poi tutto da vedere se "pirouni" derivasse da "peronion" o se non si tratti di una semplice assonanza); secondo perché per un veneto-parlante c'è una connessione logica diretta e totalmente intuitiva tra "piron" e il verbo "inpirar" che significa "infilare/inforcare". Per cui il "piron" è quella cosa che "inpira". Che io sappia nessun linguista però ha fatto risalire il verbo "inpirar" da "peronion", visto che mi pare più ovvia la derivazione dal latino "pila" ovvero mettere "in-pila", "infilare uno dopo l'altro". (vedi il termine "inpirar").

- Pitar (emettere un suono acuto / suonare) viene dall'onomatopea "piiit" e anche se questo può sembrare poco interessante è invece interessante notare come lo stesso verbo sia in uso nello Spagnolo e nel Portoghese.

- Pitusso e cioè pulcino secondo me potrebbe derivare dallo slavo "ptica" (pronuncia "ptizza") che significa "uccello". La stessa origine potrebbe aver generato la parola "pito" o "piton" e cioè "tacchino".

- Promoso (desideroso) è parola che deriva dal latino "promotus", participio passato del verbo "promovere" nel senso di "eccitare", "emozionare".

- Pupinoto, cioè "pupazzo", "fantoccio" deriva dal latino "pupus" (che significa "bambino", "pupo") così come parole del tipo "pupilla", "puppet" in Inglese e lo stesso termine di "pupazzo".

- Putel (bambino) viene dal latino "putus" con il significato di "ragazzo, bambino", la stessa origine dell'italiano "putto".

- Resentar, dal significato di "sciaquare" viene dal vocabolo latino "recentare" e cioè "far passare del liquido". Si tratta della stessa etimologia del Catalano "rentar" che significa "lavare".

- Ronsegar (russare) deriva dal latino "rhonchare" che è un prestito dalla lingua greca con il termine "rhonkhos" che indica il "gracchiare delle rane". Mentre il verbo "russare" italiano deriva dal longobardo "hruzzan".

- Ruga, piccola via, ancora presente nella nomenclatura del tessuto viario veneziano, viene dal Latino "ruga" che significava "ruga", "solco", "cammino". È la stessa origine della parola Portoghese "rua".

- Rumar dal significato di "rovistare" o "cercare senza sapere dove", o "ancora scavare confusamente", potrebbe venire con altissima probabilità dall'antico termine germanico "rûm" e cioè "spazio" (dal cuale deriva la parola "raum" tedesca e l'inglese "room"). Nella sua versione verbale "räumen" significa "svuotare, fare spazio" e quindi ecco il termine "rumar" come scavare (ricordiamo "rumatera" = talpa). Questo termine è lo stesso che ha dato origine al francese "arrumer" e allo spagnolo "arrumar".

- Russar e cioè "sfregare" o "strofinare" deriva dal termine latino volgare "ruptiare", una derivazione del verbo "rumpere" e cioè "spaccare, rompere, fare a pezzi".

- Sanca (sinistra) e Sanchin (mancino) potrebbe avere un'origine comune al verbo "stangar" usato dai gondolieri quando devono girare a sinistra. Se così fosse allora ci sarebbe un'analogia tra la parola "sanca" e la parola "stânga" del Rumeno che, appunto, significa "sinistra". A questo punto l'origine è latina e "sanco" procederebbe dalla parola "stancus". Ad esempio "manus stanca" sarebbe la mano "goffa", la mano "pesante", in opposizione alla mando "destra", quindi "agile", "veloce" e "precisa". È interessante notare che se "sanca" viene da "stanca" così come il verbo "stangar" della nautica veneziana, ci potrebbe probabilmente essere una connessione anche con un'altra parola sempre pronunciata "stanga" e cioè la denominazione delle aree esterne alle porte orientali di diverse città venete. Il riferimento in questo caso all'oriente come a qualcosa relativo alla "sinistra" (guardando verso sud?) oppure al significato del termine originario "stanco" sarebbe comunque tutta da dimostrare. Personalmente azzardo la possibilità che possa trattarsi di un modo di dire con riferimento a Venezia come centro commerciale (e linguisico, essendo il verbo "stangar" veneziano, appunto). Forse i commercianti che risalivano i fiumi del Veneto per vendere arrivavano comunemente alle città di terraferma da oriente, per cui l'idea di "girare la barca (stangar) e tornare indietro" verso Venezia era sempre riferibile a tornare ad Est, da qui la nomenclatura di "stanga" per i quartieri orientali delle città venete.

- Sangiuto e cioè "singhiozzo" viene dal Latino "singultare" e cioè proprio "singhiozzare".

Sata (spesso scritta come "zatta") è in Italiano la parola per dire "zampa". L'etimo è incerto da quanto sono riuscito a vedere, ma vorrei far notare certe somiglianze che potrebbero far pendere per delle teorie (peraltro già esistenti) sull'origine della parola "sata" da radici latine (e non tedesche o arabe come alcuni ipotizzano). "Zatta", da cui la parola "zattera" può essere messa in relazione ad altre parole di lingue latine dove un certo tipo di imbarcazione piatta è definita come "chiatta" in Italiano, "chata" in Spagnolo, "chatte" Francese e "ciata" in Genovese. Questa teoria a mio parere già molto forte, si rafforza ulteriormente seconsideriamo altre parole come il "chiatto" del Napoletano che indica persona bassa e tozza. "Chiatta" e "zatta" dunque deriverebbe da una radice comune: la parola "sciatta", anticamente scritta come "xata" o "jata" con l'idea generale di "piatta". Su questo si è già scritto molto, anche se non tutti i linguistisono d'accordo. Vorrei però apportare un'ulteriore prova per questa teoria: Se il termine "zatta/satta/sciatta/chiatta" si associa all'italiano "piatto" tutti derivanti dal latino volgare "platta",  il suono iniziale"pl-" si è trasformato in diversi suoni: "pi-/chi-/sci-/zi-/si-/j-" in base alle diverse aree geografiche dove veniva pronunciato. Questa cosa non è rara nelle lingue neolatine, e si dimostra non solo in esempi isolati (come "più" e "cchiù" oppure "piangere" e "chiagnere" in Napoletano, "spianata" e "chianata" in Siciliano, "pioppo" e "chopo" in Spagnolo, etc.), ma anche con parole che presentano esattamente le stesse trasformazioni fonetiche di "plattu(m)": ad esempio il verbo "pluere" latino che diventa "piovere" in Italiano, "pleuvoir" in Francese, "llover" (suono j-) in Spagnolo, "chover" (suono sci- ) oppure di nuovo il termine "plenus" che allo stesso modo diventa nelle varie lingue "pieno", "plain", "lleno", "cheio". Considerando che il Veneto normalmente non trasforma il "pl-" in "z-" proporrei l'ipotesi di un assimilazione attraverso un'altra lingua: forse il Genovese o lo Spagnolo arcaico dove il suono "sci" si trasoforma facilmente in "zi". Per concludere vorrei citare il Dizionario del Dialetto di Capodistria che cita un'origine del termine dall'alto tedesco "zata" dal significato di "branca". Ad ogni modo io propendo per l'origine latina e vorrei far notare una analogia per me molto emblematica: il termine veneto "zatta" sembra aver generato il nome dell'imbarcazione "zattera" così come, simmetricamente, nello spagnolola parola "pata" (zampa) e "patera" (imbarcazione precaria, gommone, zattera). Sarà un caso?

- Sberegar (sbraitare, urlare) viene dal basso-Latino "bragire" anche presente nella forma "bragitare" e derivazione del verbo "ragire" (far rumore, gridare) da cui deriva anche la parola italiana "ragliare".

Sbregar (strappare) anche in questo caso viene dal Tedesco "brechen" (rompere), sempre con l'intensificazione della "S" all'inizio.

- Sbrindołón e cioè "andare a zonzo" o "persona che va a spasso" deriverebbe anche in questo caso da una radice germanica risalente al Tedesco occidentale "wundrōjanan" e cioè "girovagare". Si tratta della stessa radice di "to wander" inglese e altri termini come "to wind" o il verbo tedesco "winden" con lo stesso significato di girare e di farsi spingere in traiettorie curve. Si tratta quindi di un aportazione germanica antica la cui parola originaria potrebbe essere leggermente diversa dalla sopracitata per via delle variazioni delle lingue germaniche con cui il Veneto è entrato in contatto durante la sua storia. Ad ogni modo se togliamo la "S-" rafforzativo ecco che "brindolon" non si discosta molto dal "wundrojan" germanico. Una storpiatura locale o una variante germanica specifica potrebbe tranquillamente aver creato una versione intermedia tipo "wruntojan" o "brondojan". Per chi voglia approfondire questa teoria, penso che questa spiegazione basti. Io credo sia molto probabile.

- Sbrissar (scivolare) potrebbe derivare dallo Sloveno. In questa lingua vicina al Veneto "sbrizan" significa passare un panno, uno straccio e mentre "sbrizati" significa passare una spugna su una superficie liscia e umida. Si potrebbe quindi supporre che una radice slava simile alla pronuncia "sbrissar" e con il significato di scivolare su qualcosa di liscio o bagnato possa essere l'origine della parola veneta.

- Scagno (sgabello) deriva dal latino "scamnum", dallo stesso significato.

- Scajo (ascella) deriva dal greco "maschálion" che è il diminutivo di "maschále" che significa appunto ascella.

- Scapołar (evitare una situazione), viene dal latino "excapulare" e cioè ex-capulare ovvero "liberarsi dal cappio". Si tratta della stessa radice della parola italiana "scapolo" il che mi sembra interessante come origine del termine... È invece un'origine diversa dal termine "scappare". Scappare ufficialmente viene da "excappare" e cioè togliersi la cappa, il cappuccio per fuggire meglio. Io comunque non escluderei l'origine "excapulare" anche per il termine italiano...

- Scarpía (ragnatela) anche se spesso si suggeriscono diverse origini, a mio parere, il termine deriva sicuramente dal latino "carpere" (dal significato di "filare").

- Scarpo (mammelle della mucca) a mio parere deve provenire dal greco "karpós" dal significato di "prodotto", "frutto".

- Schito (escremento di uccello) può sembrare un termine poco elegante da inserire in questa lista, ma a me sembra interessante dal punto di vista linguistico, visto che riconosco chiaramente un ascendenza dalla radice proto-germanica "skita" o "skitaz" che ha poi originato tutti i termini relativi algli escrementi in generale in tutte le lingue della famiglia germanica (tra cui lo "shit" inglese e lo "scheisse" tedesco moderno). Un escremento d'uccello quindi racchiude ben più storia e cultura di quanto possa sembrare a prima vista.

- Sćiona (anello, ciondolo) viene dalla stessa radice della parola "ciondolo", anche se non sembrerebbe a prima vista. Nel caso di "cioncolo" c'è un diminutivo che inganna: la parola in se sarebbe "ciondo" e in ogni caso il sostantivo (che definisce un anello appeso) deriva dal verbo "ciondolare". L'etimologia di "ciondolare" è risaputa e deriva dal Latino "ex-unda" e cioè muoversi come mosso dalle onde, ondulare. L'uso di anelli, sia come orecchini, sia per legare corde a carri o a briglie, erano oggetti che ondulavano, erano letteralmente l'idea stessa del "pendolo". Ad ogni modo, l'etimo di "ciondo" o "cionda" è lo stesso di "s-ciona" ed ecco spiegato il mistero.

- Sćioso (chiocciola) è tra i termini  a cui nessuno finora ha mai suggerito un'etimologia per quello che ho visto. Dopo vari studi sostengo che sia il termine "sćioso" che il termine "chiocciola" abbiano la stessa origine e cioè il corrispettivo latino "cochlea". Chiocciola deriva dal diminutivo di cochlea e cioè "cochleola", mentre il Veneto conserva la versione senza diminutivo e aggiunge, come spesso fa, una "S-" intensificativa. Quindi "s-cioso" deriva da "s-cocleo", passando per una forma intermedia (come in Italiano, del resto) dove "cochleo" passa a essere "clocheo" e poi "chioceo" a questo punto l'Italiano passa a "chiocciola" e il Veneto passa a "cioso" da cui, appunto "sćioso". 

- Sentarse (sedersi) deriva dal verbo latino "sedentare" cioè prendere un posto a sedere.

- Serar (chiudere) viene dal verbo latino "serrare" dallo stesso significato.

- Sfesa (fessura) dal latino "fissus" e cioè "spaccato".

- Sghinsar (schizzare) dovrebbe provenire dalla radice tedesca "witschen" con l'aggiunta di una S- intensificativa del significato. La parola germanica significa "scivolare", "scappar via" ed è la stessa radice della parola italiana "guizzare". L'etimo è suggerito nel "Glossario Etimologico Piemontese" per il termine "sghicèt" e per il verbo "sghicè" dal significato analogo allo "sghinsar" veneto.

Sgnacar (sbattere, lanciare con forza) a mio parere ha la stessa origine del verbo "to knock" inglese. Si tratta cioè della radice germanica "knoko" o "kneukaz" dallo stesso significato del termine veneto.

- Sgnapa (grappa) ovviamente e senza dubbi viene dal Tedesco "sniapp"

- Sguatarar dal significato di "scuotere un contenitore con del liquido dentro" quindi un concetto a metà tra "sciacquare" (resentar) e "scrollare" (sgorlar). In questo caso l'origine del termine è la stessa di "scuotere" e cioè la parola tardo-latina "exquotere".

Sleca (colpo, sberla) anche in questo caso viene dal Tedesco "schlagen" con lo stesso significato.

- Slepa (sberla) dalla radice basso-tedesca "slappe" e cioè schiaffo.

- Smassucar significa ammaccare e letteralmente deriva dall'idea di "colpire con una mazza". Il termine viene dal latino "martus" che significa "mazza", "martello" e quindi il significato originale del verbo era "colpire con il martello". Si tratta della stessa etimologia dello spagnolo "machacar" e del portoghese "machucar".

- Soto (e anche Sotegar) che significano "zoppo" (e conseguentemente "zoppicare") storicamente trascritto in quasi tutti i testi come "zoto" o "zotto". A mio parere è chiara l'ascendenza comune con il verbo tedesco "zotteln" che significa "camminare lentamente e goffamente".

- Spàciara (pozzanghera) e spaciarar (sguazzare nell'acqua) derivano dal termine tedesco "patschen" che significa proprio "sguazzare nell'acqua" oltre che a "fanghiglia". Si tratta della stessa etimologia di parole come "pacioro" e "paciołar".

- Sparagnar (risparmiare) viene dalla radice germanica "sparaną" portata dai Franchi nella loro versione "sparanjan", con lo stesso significato di adesso.

- Spigasso (e cioè uno scarabocchio) lo faccio derivare dal Latino "spica" che significa "punta", "estremità appuntita" con l'aggiunta vagamente dispregiativa "-asso" (l'"-accio" italiano), come del resto la terminazione analoga del termine "scarabocchio" che dà un senso di "poco rilevante", "poco importante". La ragione per la quale uno scarabocchio debba derivare dall'idea di una "punta" è la stessa per la quale si dice "appuntare", "prendere appunti". Suppongo che il primo abbozzo di un disegno era probabilmente realizzato con una punta che dava un primo schema di massima sul quale poi si realizzava il disegno vero e proprio.

Spissa (prurito) è sempre di radice germanica: in Tedesco "spitz" significa pungente, quindi nell'accezione di qualcosa che punge, arde o irrita la pelle "spiss" è poi diventato "spissa".

- Springar (spruzzare) è sorprendentemente simile all'Inglese "spring" (sorgente) o "to sprinkle" "spruzzare". Seguendo l'etimologia di questi due termini è facile riconoscere l'ascendenza germanica del termine: "springaną" è la radice proto-germanica che significa "scaturire verso fuori", quindi con l'idea dello zampillare di una sorgente. Parole simili a "springar" e dal significato simile si trovano in tutte le lingue germaniche. 

- Sproto (saccente, sbruffone) viene dalla radice greca "protos" che significa "primo".

Steca[denti] (stuzzica[denti]) mantiene la parola "dente" come in Italiano, ma usa la desinenza "steca" invece di "stuzzica". Queso potrebbe sembrare una piccolezza, ma non tanto se consideriamo che in Tedesco la stessa parolaè definita come "[zahn]stocher" dove "zahn" è "dente" e "stocher" sta per "steca" in dialetto veneto. Considerando l'influenza germanica nelle parlate venete (in questo caso direi soprattutto del periodo austro-ungarico) direi che più che un'assonanza questa è un prestito linguistico tedesco adattato al Veneto.

- Stramasso (materasso) non viene dall'Arabo, come la parola italiana, e a quanto parte l'etimo è incerto. Io propongo l'origine attraverso la parola latina "stramentum" e cioè paglia che si stende sul terreno per coprire (che in Veneto si dice "starnir" sicuramente con la stessa etimologia) e che è attestato essere l'origine di parole che in altre lingue (come il provenzale "estremà") per indicare "luogo dove ritirarsi". L'idea della paglia come materasso è anche rafforzata dal termine "pajón" per dire letto.

- Strica cioè una stecca o un pezzo allungato di un materiale duro viene dalla radice pre-indoeuropea "strig" nel senso di segno, linea e, per estensione, di "oggetto allungato", "cosa lunga". Stessa radice di parole come l'inglese "streak", "strike" o del tedesco "strich" o l'italiano "strigliare"

- Stringa (fascia, nastro, stecca o pezzo allungato) sembra avere due possibili origini che in ogni caso l'una non esclude l'altra. Un'ipotesi punta sull'origine latina dalla parola "stingere" che ha a che vedere con l'idea di cinture e cinghie. L'altra indica una radice germanica, dal vocabolo "strang" e cioè corda. In entrambi i casi l'origine ancora più antica è la radice pre-indoeuropea "strenk" che significa "stretto, sottile"

Strucar (premere, schiacciare) viene sicuramente dal Tedesco "drücken" con lo stesso significato. L'aggiunta della "S" (o della desinenza "Des-") è una caratteristica usuale della trasformazione in verbo di molti aggettivi o sostantivi (nudo-desnudar) o di intensificazione dei concetti (marso/smarso).

- Stuar o Stusar (spegnere) viene dal termine latino "extutare" inizialmente con il significato di "proteggere" già in epoca medioevale aveva il significato di "estinguere".

- Subiar che significa "fischiare" viene dal latino "sibilare" (fischiare/soffiare facendo un suono). Dalla stessa radice viene la parola "subioto" cioè tutto ciò che ha una forma tubolare corta e che quindi permette di soffiarci dentro.

- Sustegar (irritare, infastidire) e anche il sostantivo "susto" che origina il verbo viene dal latino "suscitare" che originariamente significa "sollevare" ma che può voler dire anche "stimolare, provocare".

- Tamiso (passino/colino) viene dal termine latino "tamisium" dal significato analogo. In Spagnolo e Portoghese esiste il termine "tamizar/tamisar" dal significato di "filtrare", "depurare".

- Tocio (sugo) e tociar (intingere, immergere) viene dal tardo latino "tucca" che significa "grasso che cola", "salsa".

- Tirache è la parola tradizionale per indicare le bretelle. Suggerisco che questa parola derivi dallo Sloveno "trake" che significa "nastro", "fascia".

Trincar (bere a canna) è un germanismo che deriva dal Tedesco "trinken".

Trodeto (sentiero) è di radice germanica antica, la parola originaria è "tredan" è cioè calpestare (da cui viene anche il termine inglese "to tread", calpestare, e "trod", calpestato). La radice proto-germanica è "trudaną".

- Unquò (anche detto "uncùo/ancoi/ancò/incùo etc) significa "oggi" ed è risaputo che l'origine di questo termine (comune a molti dialetti e parlate del nord-Italia) deriva da "hanc hodie" e cioè "quest'oggi".

- Usar (a volte nelle versioni "ugar", "guar" o "gusar") significa affilare la lama di un coltello. La parola viene dal latino "acutiare" e cioè "aguzzare".

- Varsor (o vassor) e cioè "aratro" viene dal Latino "versorium" derivato da "versus" (voltato, girato), participio passato di "vertere".

- Visćia, ovvero bacchetta o verga sottile, sembrerebbe derivare dal tedesco "wisch" che significa "sottile fascio di paglia" o "spazzola".

- Zerman significa cugino e deriva dal termine latino "germanus" dal significato esteso di consanguineo. Si tratta della stessa origine del termine "germe" e "genetico". Il termine "germanus" significa originariamente "carnale" o anche "esatto, vero".


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Per realizzare questo tipo di ricerca oltre a rifarmi a etimologie ufficiali di altre lingue che usano parole analoghe a quelle venete (nella maggior parte dei casi citate nella spiegazione dei termini stessi), mi sono avvalso di interessanti testi di etimologia e di linguistica. Vorrei comunque citare due testi particolarmente utili e interessanti che mi sembrano non essere particolarmente conosciuti: il Dizionario Storico Fraseologico ed Etimologico del Dialetto di Capodistria, di Manzini-Rocchi, molto ricco di ricostruzioni etimologiche e molto completo; e anche il Glossario Etimologico Piemontese, del maggiore Del Pozzo, che seppur non trattando della lingua veneta, cita e propone molte etimologie di parole comuni nell'area dell'Italia settentrionale e che mi ha aiutato in qualche ricostruzione e ipotesi. Lo trovo comunque un lavoro importante e degno di essere citato.

Thursday, 22 July 2021

pensando nomi


 

Racconto dell'isola

Idea per un racconto surreale.

Un uomo vive in un'isola in mezzo all'oceano. È una piccola isola vulcanica, intorno a lui solo l'orizzonte del mare.

L'uomo vive la sua solitudine e il suo estremo isolamento. Ogni tanto si spaventa per grandi tormente oceaniche, a volte per la scarsità d'acqua o la difficoltà di ottenere il cibo, a volte degli squali si intravedono e lo spaventano, ma ciò che più lo lascia inquieto è il vulcano dell'isola che (specialmente di notte) scoppia in grandi boati e sputa fiamme e rocce infuocate, facendo tremare la terra sotto i piedi.

L'uomo passa infiniti giorni e infinite notti in questa solitudine e in questa monotonia instabile e inquieta.

Un giorno si alza e guardando all'orizzonte scopre che adesso c'è un'isola là in fondo. È un'isola lontana, ma si vedono le montagne, la vegetazione più scura, le spiagge e un altro vulcano che libera fumo nero.

L'uomo non si capacita di come sia possibile... pensa mille possibilità per cui quell'isola possa essere apparsa all'orizzonte, ma niente si spiega: non si tratta di un'isola "nuova" creata da un nuovo vulcano, è un'isola con vegetazione e tutto... semplicemente è comparsa...

Passano i giorni e l'uomo si abitua alla vista della lontana e misteriosa isola.

Diventa poco a poco un elemento familiare che completa il suo mondo e che gli fa immaginare come sarebbe stare dall'altra parte... come sarebbe quell'isola da dentro...

Un giorno, svegliandosi la mattina, di nuovo la sorpresa: l'isola è molto più vicina!

Come è possibile? Non si sa...

Adesso però si possono vedere in lontananza gli alberi, a volte si può intravedere qualche grande uccello planare attorno alle vette rocciose e verdeggianti.

È incredibile... è come se di notte avesse fatto un salto di un paio di chilometri! Assurdo!

Comunque passano i giorni e di nuovo l'uomo si abitua all'isola misteriosa, ma sempre più familiare. Diventa poco a poco un enigma ma anche un riferimento che riempie le sue giornate e la sua vista.

Dopo molti giorni e molte notti, di nuovo il miracolo! Di nuovo l'isola è più vicina! 

Adesso si vede bene tutto quello che c'è dal lato visibile! È ancora molto distante per poter raggiungerla a nuoto o con una zattera, ma è inevitabile pensare a come poter arrivarci... è grande e bella! sembra disabitata. Il panorama si riempie di questa lussureggiante visione. L'uomo smette di guardare gli altri orizzonti e solo scruta e analizza i dettagli di questa mistriosissima isola che si muove...

Una notte mentre dorme il vulcano della sua isola esplode in una potente eruzione... L'uomo si spaventa molto. Il cielo nero è illuminato dalle esplosioni e da fiumi di magma infuocati. Ma ecco che adesso anche il vulcano dell'isola misteriosa esplode in una potente eruzione! Panico! L'uomo si perde in una serie di deliri di paura finché non sorge il sole. I vulcani si calmano... pericolo scampato... l'uomo si addormenta sulla spiaggia.

Al risveglio, quando il sole è già alto, con grandissimo stupore l'uomo scopre che l'isola misteriosa è tornata in fondo all'orizzonte... lontano lontano.

Ormai questa stravaganza non lo sconvolge più, ma si interroga su cosa sarà accaduto, su cosa succederà adesso e si chiede come sarebbe adesso vedere la sua propria isola dalle spiagge dell'altra isola. Inizia a immaginare che quella stessa notte l'isola misteriosa potrebbe sparire per sempre ed entra in lui una tristezza profonda: quell'isola è diventata una compagna che dà senso al suo orizzonte e alle sue giornate. Il mistero di quelle apparizioni poi lo intriga e il solo pensiero che possa sparire con tutto questo mistero e lasciarlo di nuovo da solo, in mezzo all'oceano,a contemplare un infinito orizzonte vuoto in tutte le direzioni lo spaventa.

Ma il giorno dopo l'isola resta alla vista. E così anche il giorno dopo e quello dopo ancora.

L'uomo inizia ad essere grato all'isola per non sparire dalla sua vita. Per accompagnarlo.

Un mattino, dopo varie settimane, l'isola torna ad avvicinarsi. È un processo lentissimo, ma dopo ancora delle altre settimane l'isola si riavvicina e continua ad avvicinarsi ancora.

Una mattina l'uomo si sveglia e l'isola è vicina! È proprio davanti alla spiaggia, a un centinaio di metri di distanza e si staglia in tutta la sua imponenza con le sue montagne e la sua vegetazione.

L'uomo rimugina qualche ora e alla fine decide di attraversare a nuoto quella distanza per toccare l'altra isola e per esplorarla.

Si mette a nuotare, anche se teme un po' gli squali e le correnti, ma alla fine, poco a poco si avvicina all'isola misteriosa. Dopo qualche minuto carico di tensione l'uomo arriva vicino alla spiaggia dell'isola che si muove. Tocca con il piede il fondo della spiaggia e velocemente si lancia verso la sabbia asciutta.

prende fiato, è tutto emozionato, e per la prima volta ammira la propria isola da un'altra prospettiva! è incredibile ed emozionante: tutti i dettagli conosciuti dell'isola adesso appaiono in ordine, visti da una certa distanza. Con gli occhi può seguire, con la mente, i percorsi e i sentieri conosciuti, anche se nascosti a volte dalla vegetazione e dalle pietre. Vede l'imponente vulcano della sua isola, che fuma e sembra una divinità irritata. 

Tuttavia non si sente molto a suo agio in quell'ambiente nuovo: è un misto di inquietudine e di eccitazione per poter finalmente esplorare quell'isola tanto sognata. Addentrarsi nella vegetazione però gli fa un po' paura e non si allontana molto dalla spiaggia. Il timore che l'isola in cui si trova si allontani di colpo lo mantiene vicino alla costa.

È una grande avventura, una bellissima esperienza, emozionante e misteriosa. L'uomo torna alla spiaggia, torna a guardare la sua propria isola da quel punto, ammirato, amando l'isola che lo ha cresciuto, e poi, temendo che cali la notte, decide di tornare a nuotare verso la sua isola e lasciare l'isola misteriosa alle spalle.

Quella notte l'uomo quasi non dorme dall'agitazione, dai pensieri, dai ricordi e dall'orgoglio di aver attraversato ed esplorato l'altra isola.

Il giorno dopo l'uomo non resiste e torna a nuotare dall'altra parte.

giorno dopo giorno l'uomo esplora sempre più aree dell'altra isola, il che lo rende felice, ma spesso si trova con sete e fame, non conoscendo i posti dove poter nutrirsi e abbeverarsi. Ogni tanto trova qualche pozza d'acqua o qualche frutto sconosciuto, ma non sa se sono velenosi oppure no e spesso per fame o sete torna ad attraversare lo stretto braccio di mare per mangiare e bere nella propria isola.

Un giorno, esplorando l'isola misteriosa, l'uomo vede dei movimenti, dei rumori, del fumo. Subito pensa sia una manifestazione del vulcano, ma poi intravede in lontananza una persona.

Si scrutano, sembra amichevole. L'uomo fa un gesto, l'altra persona fa un gesto di risposta, ma poi si nasconde nella vegetazione. L'uomo torna alla spiaggia e nuotando, torna alla propria isola.

Il racconto prosegue sviluppando poco a poco l'avvicinamento tra l'uomo e l'abitante dell'isola. Si scopre poi che si tratta di un'intera tribù e non soltanto di un individuo. I rapporti sono amichevoli e alla fine l'uomo finisce anche per essere invitato nel villaggio. Dopo un lungo periodo di tempo l'uomo si sente benvenuto e invece di passare continuamente da un'isola all'altra, decide finalmente di dormire per la prima volta nell'isola misteriosa, tra gli abitanti dell'altra tribù, nel villaggio.

Tutto continua bene, l'uomo dorme quasi sempre nella propria isola, impara qualche parola della lingua della tribù dell'isola misteriosa, attraversa lo stretto spazio che separa le isole con disinvoltura e senza più nessun timore. A volte preferisce starsene nella propria isola. Comincia anche a non guardare più con tanta attenzione l'isola dall'altra parte: è diventata una normalità, un luogo consueto. A tratti invece scorge gli abitanti dall'altra parte e comunicano a gesti.

Ad ogni modo i contatti sono regolari e l'uomo continua a esplorare l'altra isola. Solo il vulcano lo spaventa molto. Ormai conosce tutto il lato più vicino, e però ancora ben poco del lato "nascosto" dell'isola misteriosa.

Decide di esplorarlo tutto. Si addentra in una vegetazione diversa, fitta. Perde di vista la propria isola. Si apre strada nella vegetazione anche se non c'è sentiero. Alla fine arriva alla spiaggia dall'altra parte, di sabbia nera, vulcanica, e là riposa.

Ha molta fame e inizia a cercare frutta. Non trova nessun frutto conosciuto, ma ce n'è uno nuovo, che sembra davvero succulento... la fame è troppo forte e decide di rischiare e di mangiarlo. 

È delizioso! 

Ne resta entusiasta. Si rimpinza la pancia e prende una decina di frutti per portarli con sé nella sua isola.

Passando per il lato conosciuto dell'isola misteriosa incrocia qualche abitante della tribù ed è il disastro! Gli abitanti di quell'isola iniziano a gridare furiosi! Sembrano insultarlo, sono fuori di loro. Alcuni spariscono nella vegetazione e poco dopo appaiono con degli archi e delle frecce. Cominciano a lanciarle contro di lui! Vogliono ammazzarlo! L'uomo comincia a fuggire, spaventatissimo.

Fa cadere dei frutti, ma arriva alla spiaggia e inizia a nuotare verso la propria isola. Sente dietro di sé le urla della tribu e il rumore di frecce che cadono nell'acqua vicino a lui.

Arrivato nella propria isola si nasconde in un posto sicuro. Tiene d'occhio la tribu dall'altra parte, che non attraversa lo stretto, per fortuna, ma che accende vari falò sulla spiaggia continuando a urlare e a minacciarlo.

Cade la notte e l'uomo alla fine dorme.

Il giorno dopo l'uomo resta sulla propria isola, attento e all'erta.

Il vulcano dell'atra isola sembra preparare un'eruzione... ci mancava solo questa...

Dopo qualche giorno si sveglia di soprassalto di notte e scopre che due individui della tribù dell'altra isola sono lì, seduti vicino a lui. Dopo lo spavento, nota che i due sono tranquilli. Iniziano a fare gesti e a dire qualche parola comune che conoscono e in qualche modo fanno capire che quei frutti erano sacri. Che non si possono mangiare (almeno questo è ciò che capisce l'uomo). L'uomo cerca di rassicurarli e di informarli che ha capito. Gli individui della tribù lo salutano e se ne vanno. L'uomo rimane pensieroso... soprattutto adesso che ha visto che gli abitanti dell'altra isola sanno attraversare il mare e conoscono il suo nascondiglio...

Dopo vari giorni tranquilli (a parte il vulcano che continua a sputare fumo e a ruggire) l'uomo decide di attraversare di nuovo il mare e di arrivare nell'altra isola. Non trova nessuno. Con cautela decide di avvicinarsi poco a poco al villaggio, ma non trova proprio nessuno. Resta nello spiazzo centrale del villaggio, desideroso di tornare a intessere buoni rapporti con la tribù. Passano le ore. Si stende nella tranquillità del giorno soleggiato e senza rendersene conto si addormenta.

Si sveglia di soprassalto, svegliato dalle urla degli abitanti del villaggio. È quasi notte e sembrano essere tornati tutti adesso. Sono infuriati, urlano, lo insultano, gli fanno gesti minacciosi. Qualcuno si avvicina e lo spinge via in modo aggressivo. L'uomo che dapprima cercava di calmarli, adesso si spaventa e inizia a fuggire. Gli abitanti dell'isola lo inseguono urlando. 

L'uomo arriva velocemente sulla spiaggia, ma ...orrore! la sua isola non c'è più!

Sembra che l'isola misteriosa si sia allontanata di colpo e non c'è più niente all'orizzonte...

Gli indigeni arrivano urlando alla spiaggia e l'uomo decide di lanciarsi in acqua per salvarsi. Nuota lontano, ma non c'è nessuna isola da raggiungere ormai... resta al largo guardando la spiaggia piena di abitanti che urlano e lo insultano. Lui è spaventato... non sa bene cosa fare... inizia ad aver paura delle correnti e degli squali, ma non può più tornare sulla spiaggia adesso... 

È esiliato nel mare. Ha perso la sua isola sicura... È in pericolo totale di vita...

Decide di aggirare delle rocce per cercare si lasciarsi dietro gli indigeni. Ha paura di nuotare tra quelle acque scure, ma è l'unica soluzione. Gli abitanti cercano di seguirlo e di mantenerlo a distanza, ma poco a poco cala la notte e non riescono ad aggirare gli scogli continuando a tenerlo sott'occhio.

L'uomo, spaventato dall'oscurità e affaticato dal nuoto, aggira tutta una piccola penisola e alla fine riesce ad arrivare a uno spazio sicuro tra due grandi rocce scure. Riesce a uscire dall'acqua e cade nel sonno più profondo.

Il giorno dopo si sveglia e si chiede cosa può fare: la sua isola è sparita, l'isola in cui si trova invece è ostile e minacciosa... passa quasi tutto il giorno pensando cosa fare... si arrampica un poco solo per riuscire a trovare qualche pozza d'acqua per bere, ma non osa allontanarsi dal suo nascondiglio.

Passa qualche giorno. Nulla cambia. L'uomo è costretto ad aggirarsi nelle vicinanze del suo rifugio per trovare qualche bacca e qualche frutto da mangiare, ma non osa spostarsi molto. A volte sente dei rumori che potrebbero essere gli indigeni e si mette in acqua e nuota lontano. Ma questa situazione non è sostenibile. Non può continuare così... Non gli viene in mente nessuna idea... è disperato e maledice il giorno in cui ha deciso di esplorare quell'isola stregata.

Un giorno decide di muoversi, nuotando, verso un altra spiaggia che ricordava di aver visto quando osservava l'isola da lontano. Dopo qualche ora, ci arriva in qualche modo. Non sa se è un posto sicuro, ma c'è un fiumiciattolo ed è più facile trovare qualcosa da mangiare. Può anche trovare dei legni per fare degli arpioni per pescare dei pesci. Purtroppo però non può accendere fuochi nè riposarsi tranquillo.

Il vulcano comincia a eruttare di nuovo. Questo posto sembra essere diventato l'inferno!...

Gli unici due piani che riesce a escogitare dopo tanto tempo in questa situazione è: o cercare di tornare in buoni rapporti con la tribù, oppure crearsi una imbarcazione e cercare di lanciarsi nell'oceano, oltre l'orizzonte, in direzione alla sua isola d'origine, sperando che si trovi appena oltra l'orizzonte...

Entrambi i piani però sono molto rischiosi e lo spaventano.

È davvero una situazione orribile. Piange e si dispera per aver perso la propria isola.

Passano ancora dei giorni e quando l'uomo decide di attraversare la spiaggia per prendere della frutta e bere un po' d'acqua, viene scoperto dagli indigeni. Urla e grida. Non si sono proprio calmati! Alcuni avevano portato archi e frecce e cercano di colpirlo. 

Terrorizzato l'uomo si lancia di nuovo in mare e cerca di aggirare di nuovo gli scogli.

Ce la fa anche stavolta... gli schiamazzi degli indigeni sembrano essere d'appertutto. Non li vede, ma continuando a nuotare si rende conto che lo hanno circondato e che sanno che sta da qualche parte tra le due spiagge, protetto dagli scogli.

La situazione è critica... L'uomo torna nel piccolo anfratto che era stato il suo primo rifugio.

È disperato... non sa cosa fare, mentre il vulcano continua a sputare fuoco sempre più forte.

Solo di notte le voci degli indigeni sembrano svanire poco a poco e l'uomo decide di compiere un azione azzardata: a nuoto torna alla prima grande spiaggia che aveva calpestato per la prima volta, quella che stava direttamente davanti alla sua isola, e protetto dall'oscurità notturna, con tutta la cautela, si aggira tra i boschi alla ricerca di tronchi e di frutta. Ha deciso di costruirsi una zattera in qualche modo e di allontanarsi dall'isola, perchè ormai rimanerci è morte certa.

Non riesce a compiere la sua missione in una sola notte e il giorno dopo nota come la tribù continua a cercarlo e a pressarlo, con ira e rabbia. Non c'è soluzione: deve fuggire.

Aspetta che cali di nuovo la notte e torna di nuovo a cercare di concludere la sua zattera, con tutta l'attenzione del mondo.

Esplode con un fragore colossale il vulcano!

Tutti gli indigeni si svegliano: si nota una gran confusione nell'oscurità, tra gli alberi. Nella baraonda e nell'oscurità, in modo roccambolesco, l'uomo riesce a tornare nella spiaggia con i suoi tronchi e porta il materiale nel suo nascondiglio, sano e salvo.

Il giorno dopo si sveglia tardi, lavora sulla sua zattera mentre il vulcano borbotta sempre di più. 

A fine giornata la zattera sembra pronta. Riesce anche a racimolare dei frutti e a raccogliere dell'acqua per il suo viaggio oltre all'orizzonte... Adesso solo bisogna salpare...

Non lo fa...non osa... aspetta... cala la notte.

Quella notte aha incubi orribili. Si sveglia molte volte. Alla fine arriva l'alba confortante...

Deve trovare il coraggio di andare. Passano preziose ore di luce mentre la mente dell'uomo cerca mille possibilità alternative per evitare di partire... pensa se non sarebbe il caso di aspettare che, miracolosamente, l'isola torni ad avvicinarsi alla sua... in fondo quella misteriosa apparizione era già successa... ma potrebbe anche non succedere più... potrebbe anche essere ogni giorno più lontana... alla fine un ennesimo scoppio del vulcano gli dà l'ultimo scossone per lanciarsi.

E va...

Verso l'orizzonte...

Si allontana poco a poco dall'isola. Si aiuta con un remo fatto alla buona. Gli indigeni lo scorgono e iniziano a urlare minacciosi... ma lui, lentamente, si allontana...

Ad un certo punto arriva a un paio di chilometri di distanza dall'isola... Inizia a guardarsi indietro: l'isola misteriosa... guarda davanti: l'orizzonte infinito, vuoto, tutto l'oceano davanti. Inizia a dubitare... resta un bel po' fermo, senza sapere cosa fare. Rimpiange la terra ferma dell'isola misteriosa, maledice la tribù, piange la sua isola originaria e resta, disperato, chiedendosi cosa fare... quale sarà la soluzione meno pericolosa? Tornare o andare avanti?

Il tempo passa, l'acqua è poca, il cibo anche... decide di proseguire...

Verso sera è già lontano, ma si muove piano... dietro di sé solo la sagoma dell'isola, in lontananza. il vulcano che sputa fuoco e fumo... davanti: ancora niente...

Cala la notte. Grandi pesci minacciosi sembrano aggirare la zattera, non molto solida... la paura è grande, la solitudine infinita.

Dorme e si risveglia: l'isola dietro di lui quasi non si vede più, ma c'è il fumo del vulcano che mostra ancora la sua presenza. Attorno a lui, a parte quel riferimento: niente. Solo acqua e onde.

Passa la giornata e verso sera non si vede più niente tutto attorno... pensa se non è il caso di cercare di tornare indietro... la fatica è grande: sta remando tutto il giorno... il cibo è poco... sta tutto il giorno sotto il sole e con la pella arsa dal sale marino...

L'acqua sta già terminando... un po' è caduta, spinta dalle ondulazioni dei flutti...

La notte sta scendendo e non si vede niente all'orizzonte. L'uomo piange amaramente... ma ogni secondo scruta l'orizzonte sperando di vedere un miracolo: la sua isola.

Ma niente: il giorno successivo è uguale e monotono... nessuna sorpresa. L'uomo è esasperato. cerca di centellinare l'acqua e i pochi frutti che gli restano, ma è nervoso e spaventato...

A metà pomeriggio il cielo sembra farsi scuro... una tempesta all'orizzonte... L'uomo si guarda attorno, ma c'è solo acqua. Disperato chiede clemenza al cielo. Si sente fragile, perso, impotente, disperato... ogni direzione potrebbe nascondere l'isola, ma nulla appare... ogni pensiero gli fa notare come è sempre infinitamente più probabile che stia sbagliando rotta invece che sia sulla rotta giusta... è una questione di statistica e ormai ha perso completamente l'orientamento, non sa se le correnti lo hanno spinto alla deriva oppure no... non sa più nulla.

Il temporale si sta intensificando all'orizzonte. Il vento comincia a essere fresco e a spazzare la superficie. L'uomo teme che le onde possano distruggere la sua zattera (sarebbe davvero probabile...). Prega non si sa chi perché tutto finisca...

Invece inizia a piovere e le onde diventano poco a poco più agitate.

Cala la notte: disperazione... all'orizzonte tuoni e fulmini...

La paura è grande ma la stanchezza ancora più forte e alla fine l'uomo cade stremato nel sonno, sotto la pioggia.

La mattina dopo la tempesta sembra essere passata al largo e averlo risparmiato. Però il movimento delle onde ha fatto cadere gli ultimi frutti che aveva, il remo e l'arpione per pescare... adesso è proprio alla deriva. L'unica nota positiva (oltre al fatto di essere ancora vivo) è che la pioggia ha riempito i suoi contenitori d'acqua.

Continua il viaggio nel nulla...

Passano un paio di giorni deliranti...

Finisce davvero l'acqua...

L'uomo perde ogni speranza. La sua isola non appare più.

Sa che è arrivata la sua ora: non ha più energia, non ha più cibo né acqua, non ha modo di decidere la sua direzione e intorno a lui solo l'oceano immenso.

Si abbandona. Si lascia andare: si distende sulla piccola e stretta zattera che poco a poco si sta sfasciando e guarda il cielo passare dalla luce della sera alla notte... con le stelle...

Inizia un viaggio delirante nella sua mente... tra la vita e la morte... i sogni si confondono con la realtà... le paure con la certezza di non aver più speranza... vede varie volte la sua isola, ma era un sogno, confonde le due isole nella sua memoria, non ricorda più chi è, chi sono gli indigeni. Tutti hanno la sua faccia, sono tui lui stesso che si caccia da solo, che urla con mille bocche all'unisono, che vuole uccidersi, che vuole scappare da se stesso e che passa da un'isola all'altra che è sempre la stessa isola: lo stesso incubo. I vulcani sputano fiamme come in una sorta di conversazione rabbiosa.

Ed ecco che l'eruzione è fortissima!

In confusione tra sogni e realtà, incubi e miraggi, l'uomo si raddrizza sui pochi pali ancora legati supra l'acqua e vede... un vulcano all'orizzonte... un vulcano in eruzione con fiumi di lava... laggiù in fondo all'orizzonte.

È la sua isola!!!

Si lancia in acqua e scopre che non ha forze per nuotare... quasi non riesce a tenere gli occhi aperti... non può remare verso l'isola... non sa se ci sta andando contro oppure no... non sa se credere che sia vero o no... non sa se sperare o no...

Esausto perde conoscenza. Si risveglia molto tempo dopo e sembra andare al largo dell'isola senza intercettarla... Di fatto sembra che ci sia passato vicino e che adesso si stia perdendo di uovo verso l'orizzonte. Disperazione totale... Ultimo urlo di rabbia. Ultimo pianto e svenimento finale.

Si sveglia sulla spiaggia della sua isola, semimorto.

Un uomo della tribù, unico e solo, gli sta dando acqua e si sta prendendo cura di lui.

Alla fine, dopo vari momenti di sonno, riesce a svegliarsi e ad alzarsi. Scopre che l'uomo della tribù sta là, nella sua isola, da solo. Anche lui ha perso la sua isola.

Passano i giorno e torna la normalità, l'uomo è entusiasta di stare di nuovo nella sua isola, sano e salvo, e senza persone minacciose e ostili.

Un giorno l'uomo della tribù gli fa cenno di seguirlo e lo porta verso una caverna che sta alla base del vulcano in eruzione. L'uomo teme di entrare laggiù. L'indigeno lo sprona a passare, ma l'uomo si rifiuta.

Nei giorni seguenti l'indigeno ogni tanto cerca di invitare l'uomo ad entrare nella caverna, ma il vulcano sembra sempre più pericoloso e l'uomo teme che una frana lo chiuda dentro alla caverna per sempre.

Dopo ripetuti tentativi, un giorno l'uomo accetta l'insistente invito del suo amico ad entrare nella caverna.

L'i trova una meravigliosa fonte di acqua cristallina e una piscina trasparentissima dove un raggio di luce illumina d'azzurro le profondità piene di pietre luccicanti.

È meraviglioso.

L'uomo si tuffa nell'acqua rifrescante e dissetante.

È il posto più bello che abbia mai visto. A partire da quel giorno quella sarà la sua nuova casa.


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Ecco. Fine.

Qualcuno riesce a capire qual è il significato di questo misterioso racconto? hehe.



Friday, 16 July 2021

paróe conpagne

Continuiamo con i post sul dialetto veneto!

Dopo i false friends italo-veneti, le connessioni linguistiche del Veneto con le altre lingue, dopo una proposta di grafia unificata veneta coerente e inclusiva, e anche dopo piccole osservazioni sulle doppie in Veneto, sulle etimologie di parole venete notevoli, sulla verità del nome di Marco Polo e altre amenità linguistiche... adesso è l'ora di parlare di quelle parole che in Veneto vengono pronunciate in modo uguale anche se sono vocaboli completamente diversi.

Siete pronti?

 - Cominciamo con una facile: "Reassion". Questo termine è la pronuncia sia della parola "Reazione" (= "reasion") che della parola "Relazione" (="rełasion")

 - "Peáa" è allo stesso tempo "Pedata" (anche detta "peada"), che "Pelata" (= "pełada"). Tipo "na naransa peaa" è "un'arancia pelata", mentre "te doo na peaa" è "ti do un calcio".

 - "Mie" significa sia il pronome personale femminile plurale "Mie" che il numero "Mille" (= "miłe). Quindi "do mie" significa "duemila" mentre "e xe mie" potrebbe sia essere "sono mie" che "sono mille".

 - "Fio" in certe zone del Veneto coincide con la pronuncia sia di "Filo" che di "Figlio", anche se da me entrambi hanno pronunce diverse: l'uno è "fil" e l'altro "fiol".

 - Stessa cosa vale per "Fia" che significa sia "Fila" che "Figlia".

 - "Speciai" è allo stesso tempo la pronuncia del plurale della parola italiana "Speciale" ed è anche la traduzione esatta della parola "Specchiati".

 - "Sena" è sia la "Cena" che la "Scena" di un film per esempio.

 - "Semo" vuol dire sia "Siamo" che "Scemo".

 - "Fen" è sia il termine "Fieno" che il verbo "Facciamo" (insieme a altre versioni, come "femo","fasemo","fenio" etc).

 - "Cortei" è allo stesso tempo il plurale del termine italiano "Corteo" che della parola "Coltello" (="cortel")

 - "Son" è allo stesso tempo il verbo "(io) Sono" che il termine "Suono".

 - "Stua" è stupefacentemente sia la parola per indicare la "Stufa" che il verbo per dire "Spegni"!

 - "Toła" è sia la "Tavola" in italiano (e anche un asse di legno, a dire il vero), che il verbo "Prendila"! "Toła su" significa "raccoglila".

 - "Stała" significa sia "Stalla" che il verbo "stare" applicato a una domanda alla terza persona singolare femmilie: "stała ben unquò?" = "sta bene (lei) oggi?"

 - "Stea" è poi sia la "Stella" (="steła) sia la traduzione di "Stava" ("ea a stea ben"="lei stava bene").

 - Similmente "Stee" significa "Stelle" (="stełe"), ma anche la forma interrogativa del verbo "Stare" all'imperfetto quando il soggetto è alla terza plurale femminile: "stełe ben łore?"="stavano bene loro (sogg.f.p.)?"

 - "Sała" allo stesso modo è sia la "Sala" che il verbo "Sapere" alla terza singolare femminile interrogativa: "Ea lo sała za?" = "(lei) lo sa già?"

 - "Símie" è la pronuncia di "Scimmie" così come la pronuncia di "Simile" (="símiłe").

 - "Vedèi" è sia "Vedevi" ("te ghe vedei ben" = "ci vedevi bene") sia "Vitelli".

 - "Cavai" è la pronuncia della parola "Cavalli" ma è anche il participio passato plurale del verbo "Cavare" che significa soprattutto "Togliere".

 - Simile, la parola "Cavei" e cioè "Capelli" è allo stesso tempo la traduzione del verbo "Toglieteli".

 - "Cało" significa "Callo" ma anche un "Calo" di qualcosa, qualcosa che "cala".

 - Ma ancora più interessante è "Cai" che è sì il plurale di "Callo" e di "Calo", ma è anche il plurale di "Via", "Strada" (e cioè di "Całe") e la seconda persona del verbo "Calare", senza dimenticare che può essere anche "Capi" (cioè il plurale di "cao").

 - Di nuovo, "Gało" è sia l'animale il "Gallo" che il verbo "Avere" alla terza singolare maschile di una frase interrogativa: "gało fame?" = "ha fame (lui)?"

 - "Goi" è la forma interrogativa alla prima persona singolare del verbo "Avere": "Goi corajo?" = "ho coraggio (io)?" ma può essere anche il plurale del termine "Gol": peresempio, "el ga fato do goi" = "ha segnato due gol"

 - Similmente "Soi" è sia la forma interrogativa della prima persona singolare del verbo "Essere": "Soi bon?" = "sono capace?" ma è anche il plurale dell'aggettivo "Solo": "i xe da soi" = "stanno da soli". (Oltre ovviamente ad essere potenzialmente il plurale della parola "Sol" e cioè "Sole").

 - "Soi" non è l'unico modo di fare la forma interrogativa del verbo essere alla prima persona singolare, si può anche dire "sojo" oppure "sogno" e quest'ultima versione si scrive uguale al "sogno" che si sogna dinotte.

 - "Bała" è sia il verbo "Balla", di "ballare", che la parola "Palla" (usata molto anche nell'accezione di "Sbronza").

 - "Sesto" è sia in numerale "Sesto" come in Italiano, sia un "Gesto", oltre che un "Cesto" e anche uno speciale "Garbo", gentilezza di modali.

 - "Coi" è il plurale di "Col" che significa sia "Collina" che "Collo".

 - "Scoe" è sia la traduzione del verbo "Scolare" (="scołar") nella forma del congiuntivo ("che'l scoe via" = "che scoli via"), sia la traduzione della parola "Scope" (="scoe") e del verbo relativo ("che'l scoe fora e scoasse" = "che scopi fuori la spazzatura") e anche la traduzione della parola "Scuole" (="scołe").

 - Nelle parlate del veneto orientale e settentrionale "Sordi" significa sì il plurale di "Sordo" come in Italiano, ma anche "Topi", "Sorci".

 - "Sea" è la parola per dire "Sella" ma anche per dire "Cella".

 - I "Ponti" sono sia il plurale di "Ponte" che il plurale di "Punto" (="ponto")

 - "Ton" è la pronuncia della parola "Tono", così come della parola "Tuono" e anche del termine "Tonno". Quindi se qualcuno, per qualche ragione, decidesse di dire qualcosa del tipo "il tono del tonno del tuono" il risultato sarebbe: "el ton del ton del ton".

 - "Sugo" significa sia il "Sugo" della pasta, ma anche "Asciugo", del verbo "asciugare" ("sugar").

 - "Tosi" può di certo essere la forma verbale del verbo "Tosare" come in Italiano, ma molto più spesso si sente nel senso di "Ragazzi" (anche detti "Tosati").

 - Il "Meteo" può essere sia il "Meteo" come in Italiano, sia la traduzione del verbo "Mettilo".

 - "Caro" sta sia per "Caro" come in Italiano che per "Carro".

- "Ae" è la pronuncia di "Ałe" cioè "Ali", ed è anche la traduzione della preposizione "Alle", potendo inoltre essere il verbo "Ho" in certe parlate del Veneto orientale e settentrionale: "ae fret" = "ho freddo".

 - "Vida" è "Vite" in Italiano, nella doppia accezione di "strumento metallico filettato" che di "pianta dell'uva".

 - "Cassa" è sia una "Cassa" come in italiano che la "Caccia" (e anche la forma del verbo "Cacciare"). A questo punto un "cassavide" e cioè un "cacciaviti" potrebbe tecnicamente essere anche una "cassa pensata da asociare alla pianta della vite"...

 - "Vanti" significa sia "Avanti, Prima" ("ndemo vanti"="andiamo avanti" / "vanti mesodí"="prima di mezzogiorno") che la seconda singolare del verbo "vantar" e cioè "Acciuffare, Farcela" ("te i vanti tuti"="li prendi tutti" / "no te ghe a vanti altro"="non ce la fai più").

 - "Mai" è sia l'avverbio "Mai", come in Italiano, che il plurale della parola "Mal": "I mai del mondo" = "i mali del mondo". 

 - "Moi" è la traduzione di "Moli" (="moło" al plurale), è una forma verbale del verbo "Mollare" (="mołar) e cioè "lasciare andare" e anche il plurale dell'aggettivo "Molle" (che al singolare si dice comunque "moło").

 - "Voło" è sia il "Volo" (sebbene si possa anche dire "svoło" o "xoło"), ma è anche la forma interrogativa della terza persona singolare maschile del verbo "Volere": "voło un cafè?"="vuole (lui) un caffè?"

 - Allo stesso modo "Voi" è sia la traduzione di "Voli" che la forma verbale "(io) Voglio".

 - E per essere esaurienti "Voéo" significa: "Volevo", oltre che "Volete (voi)?", e anche "Volavo", senza dimenticare "Volate (voi)?".

 - "Vu" è allo stesso tempo la forma di rispetto o aulica del pronome "Voaltri" e cioè "Voi" in Italiano, sia la versione contratta della parola "Avuto": "go vu mal al denocio" = "ho avuto un dolore al ginocchio").

 - "Scavesso" può voler dire "(io) Spezzo", ma nella forma "de scavesso" significa "collocato traversalmente".

 - "Marso" vuol dire sia il mese di "Marzo" che l'aggettivo "Marcio".

 - "Jenaro" oppure "Zenaro" potrebbe invece essere sia il mese di "Gennaio" che il "Genero" (in questo caso però cambia l'accento...)

 - "Ara" è sia la terza persona del verbo "Arare" italiano che la forma abbreviata del verbo "Varda" e cioè "Guarda".

 - "Sie" è la traduzione del numero "Sei", ma anche il verbo condizionale "Sia/Siano". "Che i sie sie"="che siano sei".

 - "Usar" significa sia "Usare" che "Affilare" un coltello.

 - "Sera" può essere sia la "Serata" che il verbo "Chiudi" (="serar")

 - "Sopa" è sia la "Zuppa" che la "Zolla".

 - "Ago" è l'"Ago" italiano ("ago e fio"), ma è anche la pronuncia con l'elle evanescente della parola "Lago".

 - "Fassa" può essere la traduzione di "Faccia", di "Fascia" e anche la forma verbale "Faccia" del verbo "Fare".

 - "Fa" è ovviamente la terza persona singolare (e anche la seconda singolare e terza plurale però!) del verbo "Fare" come in Italiano, ma può voler dire anche il comparativo "Come": "te si alto fa mi"="sei alto come me" (in questo senso si può dire anche "cofà")

 - "Farài" è la pronuncia della traduzione della forma interrogativa "Faranno (loro, maschili)?" e anche il plurale di "Fanale" (="faral").

 - "Cossa" invece può essere sia "Cosa" che "Coscia".

 - "Canai" è la pronuncia esatta di "Canali" ma anche di "Cannati".

 - "Copo" è sia il termine per dire "Tegola" che il verbo "(io) Ammazzo"

 - "Cei" significa "Piccoli", ma può essere anche la versione moderna della pronuncia di "Cieli" (anche se in realtà si dovrebbe dire "Siéi", ma dalle mie parti ormai si dice "Cei").

 - Se senti dire "Peta" potrebbe essere la versione contratta di "Aspetta" (="speta") oppure una forma verbale per dire "Appiccica, Incolla" (="petar")

 - Nel Veneto centrale "Toi" significa sia il verbo "Prendi" che il pronome personale "Tuoi", per cui per dire: "prendi i tuoi soldi, sono tuoi" si dice "toi i to schei, i xe toi" (dalle mie parti invece "i tuoi" si dice "i tui" mentre che "prendi" si dice "te tol" o più spesso ancora "te ciol").

 - "Mia" può essere l'aggettivo possessivo "Mia" come in Italiano, ma può essere anche la negazione "Mica": "no go mia paura"="non ho mica paura".

- "Batei" può essere la traduzione di "Battelli" e anche la traduzione del verbo imperativo "Batteteli", "Colpiteli".

 - "Soto" è la traduzione di "Sotto" ma anche del vocabolo "Zoppo".

 - "Buto" viene dal verbo "Buttare", ma significa anche "Germoglio".

 - "Nassa" è sia la "Nassa" da pesca che il verbo "Nascere" all'infinito (dalle mie parti).

 - "Sorèa" è sia la "Sorella" (="soreła") che l'imperativo del verbo "Tranquillizzare" (="sorar") per cui si può tradurre come "Tranquillizzatela (voi)".

 - La "Jera" o la "Gera" potrebbero essere la forma verbale "Era" (del verbo "essere"), ma è anche la traduzione di "Ghiaia".

 - "Travessa" è sia "Attraversa", sia il "Grembiule".

 - "Se" è il pronome personale "Se", è la congiunzione ipotetica "Se", ma ciò che è più interessante è che è anche la traduzione del verbo "Siete" ma anche la "Sete".

 - "Marcà" sta sia per "Mercato" che per il participio passato del verbo "Marcare".

 - "Mari" è il plurale di "Mare" (="mar") ma anche il plurale di un "Mucchio di Fieno" (="maro").

 - "Sbèrega" potrebbe sia essere la "Noce-Pesca" che la forma verbale del verbo "sberegar" e cioè "Sbraitare".

 - "Cusina" è ala traduzione di "Cucina" (o anche la forma verbale "cucina") ma potrebbe anche essere una versione moderna della parola "Cugina" (in Veneto d.o.c. dovrebbe essere "zermana", ma ormai è in disuso).

 - "Bea" è allo stesso tempo la parola "Bella" (="Beła") ma può essere anche la versione contratta del verbo "Bere" (="Bevar"). "Son ndà bea inte na bea ostaria" = "sono andato a bere in una bella osteria".

 - "Vago" può essere l'aggettivo "Vago" italiano, ma anche la versione veneziana di "Vado" (che da me però si direbbe "voo").

 - "Vea" è la pronuncia di "Vela" (="veła") e anche di una delle forme di "Avevo/Avevi/Aveva/Avevano": Mi vea visto justo" = "avevo visto bene".

 - "Fià" significa "Fiato", ma si usa spessissimo nella sua versione "un fià" che significa "Un Po'", ciononostante è la stessa pronuncia di "Filato".

 - "Łusso" è sia la parola "Lusso" che il "Luccio", il pesce.

 - "Sento" è esattamente la stessa pronuncia per il verbo "(io) Siedo" che per il numero "Cento".

 - "Session" è la traduzione della parola "Sezione" ma anche della parola "Sessione".

 - "Sol" significa sia "Sole", che "Solo" ma anche la preposizione "Sul" (almeno dalle mie parti) quindi la frase italiana "solo sul Sole" in dialetto suona come "sol sol Sol"

 - Allo stesso modo "Coa" è "Coda", "Cova", del verbo "covare", e anche la preposizione composta "Con la". Per cui se si volesse dire "cova con la coda" si direbbe "coa coa coa".

 - Infine "Massa" significa sia "Mazza", oltre che "Massa" e anche l'avverbio "Troppo"


Expansion of Indo-European languages

The amazing expansion of the Indo-European languages throughout the world along 6000 years of history. 

Tuesday, 13 July 2021

GLOBO ARTESANAL


Este es un globo artesanal hecho completamente a mano y a memoria.
El diametro es de 12 cm pero se trata de una primera prueba para estructurar globos más grandes, de grandes formatos.

Esta primera prueba está hecha sobre una esfera de poliestireno.

La superficie está retocada añadiendo papel color cartón, pegado con pegamento y agua a tiras ovaladas de punta a punta (como se hacía tradicionalmente para realizar los globos antiguos).

El dibujo está realizado a memoria con pincel de tinta china y los retoques en bolígrafo 0.05

El mar azul está pintado en acrílico y los bordes de los continentes están enmarcados con boli dorado.



 Una capa de espray fijador que haga una superficie lisa y protegida de los líquidos hará de conclusión del trabajo.

En breve podréis esperaros un globo de dimensiones mucho más grandes y de detalles mucho más elaborados! 


Saturday, 10 July 2021

Veneto unione di tutte le lingue

Non solo la lingua veneta ha portato al mondo parole importantissime e usatissime come per esempio "ciao", "arsenale", "ballottaggio", "catasto", "laguna", "lido", "regata", "cantiere", "marionetta", "imbroglio", "pantaloni", "ghetto", "gazzetta", "giocattolo",  "gnocchi", "feta", "lazzaretto", "quarantena", "ditta", "zecchino"... c'è di più: la lingua veneta è il fondamento di quasi tutte le lingue del mondo!

Non ci credete?

Beh, guardate allora queste connessioni linguistiche squisitissime che dimostrano che il Veneto è l'equazione perfetta della lingua che accomuna tutte le altre (forse, a questo punto, azzarderei l'ipotesi che il Veneto è la lingua primordiale ai tempi della costruzione della torre di Babele).

Connessioni con l'Inglese:
- Springar (spruzzare) - in Inglese "to spring"
- Inciucarse (qualcosa che va di traverso alla gola) - in Inglese "to choke"
- Schito (cacca di uccello) - in Inglese "shit"
- Infiar (gonfiare) - in Inglese "to inflate"
- Mostaci (baffi) - in Inglese "mustaches"
- Stringa (fascia, pezzo allungato, stecca) - in Inglese "string"
- Strica (pezzo allungato duro) - in Inglese "streak"
- Criar (urlare, piangere) - in Inglese "to cry"
- Pomo-granà (melograno) - in Inglese "pomegranate"
- Bisi (piselli) - in Inglese "beans"
- Strucon (affettuoso gesto, abbraccio) - in Inglese "stroke"
- Missiar (mescolare) - in Inglese "to mix"
- Pitèr (vaso) - in Inglese "potter" (vasaio)
- Slepa (sberla) - in Inglese "slap"
- Butiro (burro) - in Inglese "butter"
- Lanzarto (lucertola) - in Inglese "lizard"
- Pupinoto (pupazzo) - in Inglese "puppet"
- Rumar (rovistare, cercare confusamente cose perse) - in Inglese "to roam" (vagare senza meta)
- Sguatarar (sciacquare) - simile all'Inglese "water"
- Brincar (acciuffare) - simile all'Inglese "to bring" (portare verso di sè)
- Inte l/a/i/e (nel/nella/nei/nelle) - in Inglese "in the" o "into the"
- Trodeto (sentiero) - in Inglese "trod" (calpestato) dal verbo "to tread"

Connessioni con il Francese:
- Sparagnar (risparmiare) - in Francese "epargner"
- Disnar (pranzare) = in Francese "dîner"
- Articioco (carciofo) - in Francese "artichaut"
- Suíta (civetta) - in Francese "chouette"
- Remarcar (notare) - in Francese "remarquer"
- Nessa (nipote, femminile) - in Francese "niece"
- Nevodo (nipote, maschile) - in Francese "neuveu"
- Bechèr (macellaio) - in Francese "boucher"
- Suìto (subito) - in Francese "en suite"
- Insembrar (mescolare insieme) - in Francese "ensamble" (insieme) 

Connessioni con lo Spagnolo:
- Serar (chiudere) - in Spagnolo "cerrar"
- Scagno (sgabello) - in Spagnolo "escaño"
- Sentarse (sedersi) - in Spagnolo "sentarse"
- Un mucho (molto) - in Spagnolo "mucho"
- Mojo (bagnato ) - in Spagnolo "mojado"
- Cuna (culla) - in Spagnolo "cuna"
- Caragói (chiocciole di mare) - in Spagnolo "caracoles"
- Całe (via, strada) - in Spagnolo "Calle"
- Braghe/Braghesse (pantaloni) - in Spagnolo "bragas" (mutandine)
- Maisena (amido di mais) - in Spagnolo"maizena"
- Russar (sfregarsi) - in Spagnolo "rozar"
- Ronsegar (russare) - in Spagnolo "roncar"
- Susto (fastidio, seccatura) - in Spagnolo "susto" (spavento)
- Ostia! (accipicchia!) - in Spagnolo "hostia!"
- Rognon (rene) - in Spagnolo "riñón"
- Inbriago (ubriaco) - in Spagnolo "embriagado"
- Descalso (scalzo) - in Spagnolo "descalzo"
- Cuciaro (cucchiaio) - in Spagnolo "cuchara"
- Seja (ciglia) - in Spagnolo "ceja"
- Vantar (afferrare) - in Spagnolo "aguantar"
- Un Per (un paio) - in Spagnolo "un par"
- Rełojo (orologio) - in Spagnolo "reloj"
- (sete) - in Spagnolo "sed"
- Baúco (tonto, scemo) - in Spagnolo "embaucar" (ingannare)
- Zerman (cugino) - in Spagnolo "hermano" (fratello)
- Folpo (polipo) - in Spagnolo "pulpo"
- Descargar (scaricare) - in Spagnolo "descargar"
- Vanti (prima/davanti) - in Spagnolo "antes"/"ante"
- Paiasso (pagliaccio) - in Spagnolo "payaso"
- Médoła (midollo) - in Spagnolo "médula"
- Vecessa (vecchiaia) - in Spagnolo "vejez"
- Paèła (padella) - in Spagnolo "paella"
- Canapia (naso grande) - in Spagnolo "napia"
- Pegaísso (appicicaticcio) - in Spagnolo "pegajoso"
- Naransa (arancia) - in Spagnolo "naranja"
- Deghejo (disastro) - in Spagnolo "degüello" (massacro, sgozzamento)
- El (l'articolo "il", "lo") - in Spagnolo "el"
- Eła (lei) - in Spagnolo "ella"

Connessioni con il Catalano:
- Massa (troppo) - in Catalano "massa"
- Goto (bicchiere) - in Catalano "got"
- Remenar (rimescolare) - in Catalano "remenar"
- Resentar (sciacquare) - in Catalano "rentar"
- Botega (negozio) - in Catalano "botiga"
- Graeła (griglia) - in Catalano "graella"
- Netar (pulire) - in Catalano "netejar"
- Pestanaja (carota selvatiche) - in Catalano "pastanaga" (carota)
- Bon Nadal (buon natale) - in Catalano "bon nadal"
- Donca (dunque) - in Catalano "doncs"
Savate (ciabatte) - in Catalano "sabates" (scarpe)
- Pomo (mela) - in Catalano "poma"
- Sangiuto (singhiozzo) - in Catalano "sanglot"
- Porco Sengial (cinghiale) - in Catalano "porc senglar"

Connessioni con il Portoghese:
- Smassucar (ammaccare) - in Portoghese "machucar" (farsi male, danneggiare)
- Cìcara (tazzina di caffè) - in Portoghese "xícara"
- Calcagno (tallone) - in Portoghese "calcanhar"
- Mujer (moglie) - in Portoghese "mulher" (donna)
- Culier (mestolo) - in Portoghese "culher" (cucchiaio)
- Mùtara (grande accumulo) - in Portoghese "mutirão" (mobilitazione collettiva)
- In Gatagnào (a 4 zampe) - in Portoghese "engatinhando"
- Pressa (fretta) - in Portoghese "pressa"
- Bisso (piccolo animaletto, insetto) - in Portoghese "bicho"
- Subiar (fischiare) - in Portoghese "assobiar"
- Pitar (fischiare) - in Portoghese "pitar"
- Catar (trovare) - in Portoghese "catar" (raccimolare)
- Sareza (ciliegia) - in Portoghese "cereja"
- Łarin (focolare) - in Portoghese "lar"
- Tamiso (setaccio) - in Portoghese "tamisar" (depurare, filtrare)
- Onde (dove) - in Portoghese "onde"
- Sponza (spugna) - in Portoghese "esponja"
- Ruga (piccola via) - in Portoghese "rua"
- Farài (fanali, lampioni) - in Portoghese "faróis"
- Persego (pesca) - in Portoghese "pêssego"
- Morer (gelso) - in Portoghese "moreira"
- Picaje (rigaglie/carne) - in Portoghese "picanha"
- Canton (angolo) - in Portoghese "canto"
- Pitoco (oggetto qualsiasi, un coso) - in Portoghese "pitoco"
- Da rente (vicino) - in Portoghese "de rente"
- Putel (bambino) = in Portoghese "puto" (ragazzo)
- Dejun (digiuno) = in Portoghese "Jejum"
- Sghinsar (schizzare) - in Portoghese "esguichar"

Connessioni con il Tedesco:
- Trincar (bere a più non posso) - in Tedesco "trinken"
- Sgnapa (grappa) - in Tedesco "sniapp"
- Casołin (formaggiaio) - in Tedesco "käse macher"
- Lésar (leggere) - in Tedesco "lesen"
- Strucar (premere) - in Tedesco "drücken"
- Broar (scottarsi) - in Tedesco "brodeln" (ribollire)
- Sbregar (strappare) - in Tedesco "brechen" (rompere)
- Boresso (ilarità, ridarella) - in Tedesco "berausch" (ebrezza, allegria)
- Steca[denti] (stuzzica[denti]) - in Tedesco "[zahn]stocher"
- Sleca (colpo, sberla) - in Tedesco "schlagen"
- Cogo (cuoco) - in Tedesco "koch"
- Soto/Sotegar (zoppo/zoppicare) - in Tedesco "zotteln" (camminare lento e goffo)
- Sgranfo (crampo) - in Tedesco "krampf"
- Spissa (prurito) - in Tedesco "spitz" (pungente)

Connessioni con il Greco:
- Piron (forchetta) - in Greco "pirouni"
- Carega (sedia) - in Greco "karekla"
- Caena (catena ) - in Greco "kadena"
- Ługànega (salsiccia) - in Greco "lukaniko"
- Barba (zio) - in Greco "barbas"
- Brosa (brina) - in Greco "drosià" (rugiada)
- Caminàa (camminata) - in Greco "kaminada"
- Cugnà (cognato) - in Greco "koniadòs"

Connessioni con lo Sloveno:
- Sbrissar (scivolare) - in Sloveno "sbrizan", "sbrizati" (passare uno straccio o una spugna su una superficie liscia e umida)
- Pitusso (pulcino) - in Sloveno "ptica", pronuncia "ptiza" (uccello)
- Tirache (bretelle) - in Sloveno "trake" (fasce, nastri)
- Brìtoła (coltellino) - in Sloveno "britva" (coltello)

Connessioni con l'Albanese:
- Sèpeghe (orme sporche) - in Albanese "hapave" (orme, passi)
Sćiantise (bagliori) - in Albanese "shkëndija"

Connessioni con il Rumeno:
- Forfe/Fórbese (forbice) - in Rumeno "foarfece"
- Jèvaro (lepre) - in Rumeno "iepure"
- Visćia (frustino) - in Rumeno "bici"
- Stangar (girare la gondola a sinistra) - in Rumeno "stânga" (sinistra)
- Sanco/Sanca (mancino/sinistra) - in Rumeno "stânga" (sinistra)
- Gaina (gallina) - in Rumeno "gaina"

Connessioni con il Turco:
- Bora (forte vento) - in Turco "bora" (uragano)
Marangon (falegname) - in Turco "marangoz"

Connessioni con l'Ebraico:
- Baita (casa di montagna) - in Ebraico "bait" (casa)
- Xe (è, terza persona del verbo essere) - in Ebraico "ze"

Connessioni con l'Arabo:
- Bagigi (arachidi) - in Arabo "habb'aziz" (bacca rinomata)
- Papusse (ciabatte da casa) - in Arabo "babush"
- Cheba (gabbia) - in Arabo "al-ka'ba" (cubo, scatola)
- Amia (zia) - in Arabo "eama"

Connessioni con il Ungherese:
- Sćozo (chiocciola) - in Ungherese "csúszós" (strisciare, scivolare)

Connessioni con il kiSwahili:
- Mi-mi soł (soltanto io) - in kiSwahili "mi-mi" (io)

...e sicuramente molte, moltissime altre connessioni con altre lingue! 
Il che dimostra non soltanto che queste lingue siano state in contatto, ma invece che il Veneto è la lingua primordiale dell'umaità intera!