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Tuesday, 4 April 2023

scenario fantascientifico

Idea per uno scenario per una storia fanta-scientifica.

Premessa: 

Gli uomini sono affascinati dalle cose che lo circondano. Da questi elementi che gli stanno attorno elabora nei millenni delle religioni.

All'inizio, suggestionato da animali, elabora religioni di esseri zoomorfi e di bestie mitiche sacre.

Secoli dopo aver scoperto la scrittura, ecco che inizia l'era dei libri sacri, delle teorie kabalistiche e delle rune magiche.

Dopo pochi secoli dell'impatto tecnologico nella nostra vita, ecco che cominciano ad apparire già religioni stile scientology e altre teorie di creazioni genetiche aliene della vita nella terra.

Nel futuro il culto della tecnologia sarà la normalità.

Scenario del romanzo:

La religione tecnologica di questa nuova era punta a liberare l'uomo dalla morte fisica.

Già da qualche secolo le nuove tecnologie erano riuscite finalmente a mantenere in vita un essere umano attraverso macchinari ed apparati complicatissimi (forse alcuni umani, tre, per esempio, ma poi altri erano morti e ne era rimasto solo uno). 

L'umano mantenuto in vita dalla tecnologia (all'inizio soltanto come mero esperimento medico) si era, nei secoli, tramutato nella promessa di una vita eterna per tutte le genti. Da qui lo sviluppo di una religione tecnologica che promette vita eterna per tutti.

Paradossalmente il "messia", il "prescelto", il "mai-morto" è soltanto un corpo ormai rinsecchito e totalmente incosciente da secoli (probabilmente con un cervello ormai marcito) che si dedica soltanto a respirare e a pompare sangue aiutato da complessi apparati e mix farmaceutici costantemente adattati in base a costanti monitoraggi medici.

Il corpo (o meglio, quell'agglomerato di cellule umane mantenute in vita artificialmente) è divinizzato e idolatrato da masse di disperati che sperano che il dio tecnologico porti vita eterna per tutti. Il "messia" è soltanto il primo, la promessa di un futuro immortale imminente.

Un giorno si rialzerà, cosciente e felice, come primo successo dell'immortalità divina-tecnologica.

Il paradosso:

Il mondo nei secoli futuri, a causa di sconvolgenti cambi climatici e geo-politici, si trova in una profonda crisi energetica ed economico-sociale.

La scomparsa di una tecnologia "amica" nella vita quotidiana di tutti a causa dei problemi economici genera un mito dell'età dell'oro che tornerà.

Allo stesso tempo tutto l'apparato tecnico- organizzativo che sta attorno al "messia" esige ogni anno più risorse e più energia (un po' per le esigenze tecniche sempre più complesse con il passare del tempo per mantenere in vita il corpo di quell'uomo, un po' a causa della crescente importanza simbolica di questo corpo e per l'importanza religiosa sulle masse disposte a tutto nella loro cieca devozione).

L'umanità (finalmente unita in una sola fede, in questo futuro) adesso si trova però nella paradossale situazione di spendere più della metà delle sue risorse planetarie per spese correlate al mantenimento di questa struttura religiosa. E quanto più miserabile la situazione (quasi feudale/schiavistica) che vivono le popolazioni per cercare di generare le risorse, più il sogno e il mito di una vita libera dalla morte e dalle pene del corpo prende forza.

Questa è l'ambientazione della novella.

Thursday, 22 July 2021

Racconto dell'isola

Idea per un racconto surreale.

Un uomo vive in un'isola in mezzo all'oceano. È una piccola isola vulcanica, intorno a lui solo l'orizzonte del mare.

L'uomo vive la sua solitudine e il suo estremo isolamento. Ogni tanto si spaventa per grandi tormente oceaniche, a volte per la scarsità d'acqua o la difficoltà di ottenere il cibo, a volte degli squali si intravedono e lo spaventano, ma ciò che più lo lascia inquieto è il vulcano dell'isola che (specialmente di notte) scoppia in grandi boati e sputa fiamme e rocce infuocate, facendo tremare la terra sotto i piedi.

L'uomo passa infiniti giorni e infinite notti in questa solitudine e in questa monotonia instabile e inquieta.

Un giorno si alza e guardando all'orizzonte scopre che adesso c'è un'isola là in fondo. È un'isola lontana, ma si vedono le montagne, la vegetazione più scura, le spiagge e un altro vulcano che libera fumo nero.

L'uomo non si capacita di come sia possibile... pensa mille possibilità per cui quell'isola possa essere apparsa all'orizzonte, ma niente si spiega: non si tratta di un'isola "nuova" creata da un nuovo vulcano, è un'isola con vegetazione e tutto... semplicemente è comparsa...

Passano i giorni e l'uomo si abitua alla vista della lontana e misteriosa isola.

Diventa poco a poco un elemento familiare che completa il suo mondo e che gli fa immaginare come sarebbe stare dall'altra parte... come sarebbe quell'isola da dentro...

Un giorno, svegliandosi la mattina, di nuovo la sorpresa: l'isola è molto più vicina!

Come è possibile? Non si sa...

Adesso però si possono vedere in lontananza gli alberi, a volte si può intravedere qualche grande uccello planare attorno alle vette rocciose e verdeggianti.

È incredibile... è come se di notte avesse fatto un salto di un paio di chilometri! Assurdo!

Comunque passano i giorni e di nuovo l'uomo si abitua all'isola misteriosa, ma sempre più familiare. Diventa poco a poco un enigma ma anche un riferimento che riempie le sue giornate e la sua vista.

Dopo molti giorni e molte notti, di nuovo il miracolo! Di nuovo l'isola è più vicina! 

Adesso si vede bene tutto quello che c'è dal lato visibile! È ancora molto distante per poter raggiungerla a nuoto o con una zattera, ma è inevitabile pensare a come poter arrivarci... è grande e bella! sembra disabitata. Il panorama si riempie di questa lussureggiante visione. L'uomo smette di guardare gli altri orizzonti e solo scruta e analizza i dettagli di questa mistriosissima isola che si muove...

Una notte mentre dorme il vulcano della sua isola esplode in una potente eruzione... L'uomo si spaventa molto. Il cielo nero è illuminato dalle esplosioni e da fiumi di magma infuocati. Ma ecco che adesso anche il vulcano dell'isola misteriosa esplode in una potente eruzione! Panico! L'uomo si perde in una serie di deliri di paura finché non sorge il sole. I vulcani si calmano... pericolo scampato... l'uomo si addormenta sulla spiaggia.

Al risveglio, quando il sole è già alto, con grandissimo stupore l'uomo scopre che l'isola misteriosa è tornata in fondo all'orizzonte... lontano lontano.

Ormai questa stravaganza non lo sconvolge più, ma si interroga su cosa sarà accaduto, su cosa succederà adesso e si chiede come sarebbe adesso vedere la sua propria isola dalle spiagge dell'altra isola. Inizia a immaginare che quella stessa notte l'isola misteriosa potrebbe sparire per sempre ed entra in lui una tristezza profonda: quell'isola è diventata una compagna che dà senso al suo orizzonte e alle sue giornate. Il mistero di quelle apparizioni poi lo intriga e il solo pensiero che possa sparire con tutto questo mistero e lasciarlo di nuovo da solo, in mezzo all'oceano,a contemplare un infinito orizzonte vuoto in tutte le direzioni lo spaventa.

Ma il giorno dopo l'isola resta alla vista. E così anche il giorno dopo e quello dopo ancora.

L'uomo inizia ad essere grato all'isola per non sparire dalla sua vita. Per accompagnarlo.

Un mattino, dopo varie settimane, l'isola torna ad avvicinarsi. È un processo lentissimo, ma dopo ancora delle altre settimane l'isola si riavvicina e continua ad avvicinarsi ancora.

Una mattina l'uomo si sveglia e l'isola è vicina! È proprio davanti alla spiaggia, a un centinaio di metri di distanza e si staglia in tutta la sua imponenza con le sue montagne e la sua vegetazione.

L'uomo rimugina qualche ora e alla fine decide di attraversare a nuoto quella distanza per toccare l'altra isola e per esplorarla.

Si mette a nuotare, anche se teme un po' gli squali e le correnti, ma alla fine, poco a poco si avvicina all'isola misteriosa. Dopo qualche minuto carico di tensione l'uomo arriva vicino alla spiaggia dell'isola che si muove. Tocca con il piede il fondo della spiaggia e velocemente si lancia verso la sabbia asciutta.

prende fiato, è tutto emozionato, e per la prima volta ammira la propria isola da un'altra prospettiva! è incredibile ed emozionante: tutti i dettagli conosciuti dell'isola adesso appaiono in ordine, visti da una certa distanza. Con gli occhi può seguire, con la mente, i percorsi e i sentieri conosciuti, anche se nascosti a volte dalla vegetazione e dalle pietre. Vede l'imponente vulcano della sua isola, che fuma e sembra una divinità irritata. 

Tuttavia non si sente molto a suo agio in quell'ambiente nuovo: è un misto di inquietudine e di eccitazione per poter finalmente esplorare quell'isola tanto sognata. Addentrarsi nella vegetazione però gli fa un po' paura e non si allontana molto dalla spiaggia. Il timore che l'isola in cui si trova si allontani di colpo lo mantiene vicino alla costa.

È una grande avventura, una bellissima esperienza, emozionante e misteriosa. L'uomo torna alla spiaggia, torna a guardare la sua propria isola da quel punto, ammirato, amando l'isola che lo ha cresciuto, e poi, temendo che cali la notte, decide di tornare a nuotare verso la sua isola e lasciare l'isola misteriosa alle spalle.

Quella notte l'uomo quasi non dorme dall'agitazione, dai pensieri, dai ricordi e dall'orgoglio di aver attraversato ed esplorato l'altra isola.

Il giorno dopo l'uomo non resiste e torna a nuotare dall'altra parte.

giorno dopo giorno l'uomo esplora sempre più aree dell'altra isola, il che lo rende felice, ma spesso si trova con sete e fame, non conoscendo i posti dove poter nutrirsi e abbeverarsi. Ogni tanto trova qualche pozza d'acqua o qualche frutto sconosciuto, ma non sa se sono velenosi oppure no e spesso per fame o sete torna ad attraversare lo stretto braccio di mare per mangiare e bere nella propria isola.

Un giorno, esplorando l'isola misteriosa, l'uomo vede dei movimenti, dei rumori, del fumo. Subito pensa sia una manifestazione del vulcano, ma poi intravede in lontananza una persona.

Si scrutano, sembra amichevole. L'uomo fa un gesto, l'altra persona fa un gesto di risposta, ma poi si nasconde nella vegetazione. L'uomo torna alla spiaggia e nuotando, torna alla propria isola.

Il racconto prosegue sviluppando poco a poco l'avvicinamento tra l'uomo e l'abitante dell'isola. Si scopre poi che si tratta di un'intera tribù e non soltanto di un individuo. I rapporti sono amichevoli e alla fine l'uomo finisce anche per essere invitato nel villaggio. Dopo un lungo periodo di tempo l'uomo si sente benvenuto e invece di passare continuamente da un'isola all'altra, decide finalmente di dormire per la prima volta nell'isola misteriosa, tra gli abitanti dell'altra tribù, nel villaggio.

Tutto continua bene, l'uomo dorme quasi sempre nella propria isola, impara qualche parola della lingua della tribù dell'isola misteriosa, attraversa lo stretto spazio che separa le isole con disinvoltura e senza più nessun timore. A volte preferisce starsene nella propria isola. Comincia anche a non guardare più con tanta attenzione l'isola dall'altra parte: è diventata una normalità, un luogo consueto. A tratti invece scorge gli abitanti dall'altra parte e comunicano a gesti.

Ad ogni modo i contatti sono regolari e l'uomo continua a esplorare l'altra isola. Solo il vulcano lo spaventa molto. Ormai conosce tutto il lato più vicino, e però ancora ben poco del lato "nascosto" dell'isola misteriosa.

Decide di esplorarlo tutto. Si addentra in una vegetazione diversa, fitta. Perde di vista la propria isola. Si apre strada nella vegetazione anche se non c'è sentiero. Alla fine arriva alla spiaggia dall'altra parte, di sabbia nera, vulcanica, e là riposa.

Ha molta fame e inizia a cercare frutta. Non trova nessun frutto conosciuto, ma ce n'è uno nuovo, che sembra davvero succulento... la fame è troppo forte e decide di rischiare e di mangiarlo. 

È delizioso! 

Ne resta entusiasta. Si rimpinza la pancia e prende una decina di frutti per portarli con sé nella sua isola.

Passando per il lato conosciuto dell'isola misteriosa incrocia qualche abitante della tribù ed è il disastro! Gli abitanti di quell'isola iniziano a gridare furiosi! Sembrano insultarlo, sono fuori di loro. Alcuni spariscono nella vegetazione e poco dopo appaiono con degli archi e delle frecce. Cominciano a lanciarle contro di lui! Vogliono ammazzarlo! L'uomo comincia a fuggire, spaventatissimo.

Fa cadere dei frutti, ma arriva alla spiaggia e inizia a nuotare verso la propria isola. Sente dietro di sé le urla della tribu e il rumore di frecce che cadono nell'acqua vicino a lui.

Arrivato nella propria isola si nasconde in un posto sicuro. Tiene d'occhio la tribu dall'altra parte, che non attraversa lo stretto, per fortuna, ma che accende vari falò sulla spiaggia continuando a urlare e a minacciarlo.

Cade la notte e l'uomo alla fine dorme.

Il giorno dopo l'uomo resta sulla propria isola, attento e all'erta.

Il vulcano dell'atra isola sembra preparare un'eruzione... ci mancava solo questa...

Dopo qualche giorno si sveglia di soprassalto di notte e scopre che due individui della tribù dell'altra isola sono lì, seduti vicino a lui. Dopo lo spavento, nota che i due sono tranquilli. Iniziano a fare gesti e a dire qualche parola comune che conoscono e in qualche modo fanno capire che quei frutti erano sacri. Che non si possono mangiare (almeno questo è ciò che capisce l'uomo). L'uomo cerca di rassicurarli e di informarli che ha capito. Gli individui della tribù lo salutano e se ne vanno. L'uomo rimane pensieroso... soprattutto adesso che ha visto che gli abitanti dell'altra isola sanno attraversare il mare e conoscono il suo nascondiglio...

Dopo vari giorni tranquilli (a parte il vulcano che continua a sputare fumo e a ruggire) l'uomo decide di attraversare di nuovo il mare e di arrivare nell'altra isola. Non trova nessuno. Con cautela decide di avvicinarsi poco a poco al villaggio, ma non trova proprio nessuno. Resta nello spiazzo centrale del villaggio, desideroso di tornare a intessere buoni rapporti con la tribù. Passano le ore. Si stende nella tranquillità del giorno soleggiato e senza rendersene conto si addormenta.

Si sveglia di soprassalto, svegliato dalle urla degli abitanti del villaggio. È quasi notte e sembrano essere tornati tutti adesso. Sono infuriati, urlano, lo insultano, gli fanno gesti minacciosi. Qualcuno si avvicina e lo spinge via in modo aggressivo. L'uomo che dapprima cercava di calmarli, adesso si spaventa e inizia a fuggire. Gli abitanti dell'isola lo inseguono urlando. 

L'uomo arriva velocemente sulla spiaggia, ma ...orrore! la sua isola non c'è più!

Sembra che l'isola misteriosa si sia allontanata di colpo e non c'è più niente all'orizzonte...

Gli indigeni arrivano urlando alla spiaggia e l'uomo decide di lanciarsi in acqua per salvarsi. Nuota lontano, ma non c'è nessuna isola da raggiungere ormai... resta al largo guardando la spiaggia piena di abitanti che urlano e lo insultano. Lui è spaventato... non sa bene cosa fare... inizia ad aver paura delle correnti e degli squali, ma non può più tornare sulla spiaggia adesso... 

È esiliato nel mare. Ha perso la sua isola sicura... È in pericolo totale di vita...

Decide di aggirare delle rocce per cercare si lasciarsi dietro gli indigeni. Ha paura di nuotare tra quelle acque scure, ma è l'unica soluzione. Gli abitanti cercano di seguirlo e di mantenerlo a distanza, ma poco a poco cala la notte e non riescono ad aggirare gli scogli continuando a tenerlo sott'occhio.

L'uomo, spaventato dall'oscurità e affaticato dal nuoto, aggira tutta una piccola penisola e alla fine riesce ad arrivare a uno spazio sicuro tra due grandi rocce scure. Riesce a uscire dall'acqua e cade nel sonno più profondo.

Il giorno dopo si sveglia e si chiede cosa può fare: la sua isola è sparita, l'isola in cui si trova invece è ostile e minacciosa... passa quasi tutto il giorno pensando cosa fare... si arrampica un poco solo per riuscire a trovare qualche pozza d'acqua per bere, ma non osa allontanarsi dal suo nascondiglio.

Passa qualche giorno. Nulla cambia. L'uomo è costretto ad aggirarsi nelle vicinanze del suo rifugio per trovare qualche bacca e qualche frutto da mangiare, ma non osa spostarsi molto. A volte sente dei rumori che potrebbero essere gli indigeni e si mette in acqua e nuota lontano. Ma questa situazione non è sostenibile. Non può continuare così... Non gli viene in mente nessuna idea... è disperato e maledice il giorno in cui ha deciso di esplorare quell'isola stregata.

Un giorno decide di muoversi, nuotando, verso un altra spiaggia che ricordava di aver visto quando osservava l'isola da lontano. Dopo qualche ora, ci arriva in qualche modo. Non sa se è un posto sicuro, ma c'è un fiumiciattolo ed è più facile trovare qualcosa da mangiare. Può anche trovare dei legni per fare degli arpioni per pescare dei pesci. Purtroppo però non può accendere fuochi nè riposarsi tranquillo.

Il vulcano comincia a eruttare di nuovo. Questo posto sembra essere diventato l'inferno!...

Gli unici due piani che riesce a escogitare dopo tanto tempo in questa situazione è: o cercare di tornare in buoni rapporti con la tribù, oppure crearsi una imbarcazione e cercare di lanciarsi nell'oceano, oltre l'orizzonte, in direzione alla sua isola d'origine, sperando che si trovi appena oltra l'orizzonte...

Entrambi i piani però sono molto rischiosi e lo spaventano.

È davvero una situazione orribile. Piange e si dispera per aver perso la propria isola.

Passano ancora dei giorni e quando l'uomo decide di attraversare la spiaggia per prendere della frutta e bere un po' d'acqua, viene scoperto dagli indigeni. Urla e grida. Non si sono proprio calmati! Alcuni avevano portato archi e frecce e cercano di colpirlo. 

Terrorizzato l'uomo si lancia di nuovo in mare e cerca di aggirare di nuovo gli scogli.

Ce la fa anche stavolta... gli schiamazzi degli indigeni sembrano essere d'appertutto. Non li vede, ma continuando a nuotare si rende conto che lo hanno circondato e che sanno che sta da qualche parte tra le due spiagge, protetto dagli scogli.

La situazione è critica... L'uomo torna nel piccolo anfratto che era stato il suo primo rifugio.

È disperato... non sa cosa fare, mentre il vulcano continua a sputare fuoco sempre più forte.

Solo di notte le voci degli indigeni sembrano svanire poco a poco e l'uomo decide di compiere un azione azzardata: a nuoto torna alla prima grande spiaggia che aveva calpestato per la prima volta, quella che stava direttamente davanti alla sua isola, e protetto dall'oscurità notturna, con tutta la cautela, si aggira tra i boschi alla ricerca di tronchi e di frutta. Ha deciso di costruirsi una zattera in qualche modo e di allontanarsi dall'isola, perchè ormai rimanerci è morte certa.

Non riesce a compiere la sua missione in una sola notte e il giorno dopo nota come la tribù continua a cercarlo e a pressarlo, con ira e rabbia. Non c'è soluzione: deve fuggire.

Aspetta che cali di nuovo la notte e torna di nuovo a cercare di concludere la sua zattera, con tutta l'attenzione del mondo.

Esplode con un fragore colossale il vulcano!

Tutti gli indigeni si svegliano: si nota una gran confusione nell'oscurità, tra gli alberi. Nella baraonda e nell'oscurità, in modo roccambolesco, l'uomo riesce a tornare nella spiaggia con i suoi tronchi e porta il materiale nel suo nascondiglio, sano e salvo.

Il giorno dopo si sveglia tardi, lavora sulla sua zattera mentre il vulcano borbotta sempre di più. 

A fine giornata la zattera sembra pronta. Riesce anche a racimolare dei frutti e a raccogliere dell'acqua per il suo viaggio oltre all'orizzonte... Adesso solo bisogna salpare...

Non lo fa...non osa... aspetta... cala la notte.

Quella notte aha incubi orribili. Si sveglia molte volte. Alla fine arriva l'alba confortante...

Deve trovare il coraggio di andare. Passano preziose ore di luce mentre la mente dell'uomo cerca mille possibilità alternative per evitare di partire... pensa se non sarebbe il caso di aspettare che, miracolosamente, l'isola torni ad avvicinarsi alla sua... in fondo quella misteriosa apparizione era già successa... ma potrebbe anche non succedere più... potrebbe anche essere ogni giorno più lontana... alla fine un ennesimo scoppio del vulcano gli dà l'ultimo scossone per lanciarsi.

E va...

Verso l'orizzonte...

Si allontana poco a poco dall'isola. Si aiuta con un remo fatto alla buona. Gli indigeni lo scorgono e iniziano a urlare minacciosi... ma lui, lentamente, si allontana...

Ad un certo punto arriva a un paio di chilometri di distanza dall'isola... Inizia a guardarsi indietro: l'isola misteriosa... guarda davanti: l'orizzonte infinito, vuoto, tutto l'oceano davanti. Inizia a dubitare... resta un bel po' fermo, senza sapere cosa fare. Rimpiange la terra ferma dell'isola misteriosa, maledice la tribù, piange la sua isola originaria e resta, disperato, chiedendosi cosa fare... quale sarà la soluzione meno pericolosa? Tornare o andare avanti?

Il tempo passa, l'acqua è poca, il cibo anche... decide di proseguire...

Verso sera è già lontano, ma si muove piano... dietro di sé solo la sagoma dell'isola, in lontananza. il vulcano che sputa fuoco e fumo... davanti: ancora niente...

Cala la notte. Grandi pesci minacciosi sembrano aggirare la zattera, non molto solida... la paura è grande, la solitudine infinita.

Dorme e si risveglia: l'isola dietro di lui quasi non si vede più, ma c'è il fumo del vulcano che mostra ancora la sua presenza. Attorno a lui, a parte quel riferimento: niente. Solo acqua e onde.

Passa la giornata e verso sera non si vede più niente tutto attorno... pensa se non è il caso di cercare di tornare indietro... la fatica è grande: sta remando tutto il giorno... il cibo è poco... sta tutto il giorno sotto il sole e con la pella arsa dal sale marino...

L'acqua sta già terminando... un po' è caduta, spinta dalle ondulazioni dei flutti...

La notte sta scendendo e non si vede niente all'orizzonte. L'uomo piange amaramente... ma ogni secondo scruta l'orizzonte sperando di vedere un miracolo: la sua isola.

Ma niente: il giorno successivo è uguale e monotono... nessuna sorpresa. L'uomo è esasperato. cerca di centellinare l'acqua e i pochi frutti che gli restano, ma è nervoso e spaventato...

A metà pomeriggio il cielo sembra farsi scuro... una tempesta all'orizzonte... L'uomo si guarda attorno, ma c'è solo acqua. Disperato chiede clemenza al cielo. Si sente fragile, perso, impotente, disperato... ogni direzione potrebbe nascondere l'isola, ma nulla appare... ogni pensiero gli fa notare come è sempre infinitamente più probabile che stia sbagliando rotta invece che sia sulla rotta giusta... è una questione di statistica e ormai ha perso completamente l'orientamento, non sa se le correnti lo hanno spinto alla deriva oppure no... non sa più nulla.

Il temporale si sta intensificando all'orizzonte. Il vento comincia a essere fresco e a spazzare la superficie. L'uomo teme che le onde possano distruggere la sua zattera (sarebbe davvero probabile...). Prega non si sa chi perché tutto finisca...

Invece inizia a piovere e le onde diventano poco a poco più agitate.

Cala la notte: disperazione... all'orizzonte tuoni e fulmini...

La paura è grande ma la stanchezza ancora più forte e alla fine l'uomo cade stremato nel sonno, sotto la pioggia.

La mattina dopo la tempesta sembra essere passata al largo e averlo risparmiato. Però il movimento delle onde ha fatto cadere gli ultimi frutti che aveva, il remo e l'arpione per pescare... adesso è proprio alla deriva. L'unica nota positiva (oltre al fatto di essere ancora vivo) è che la pioggia ha riempito i suoi contenitori d'acqua.

Continua il viaggio nel nulla...

Passano un paio di giorni deliranti...

Finisce davvero l'acqua...

L'uomo perde ogni speranza. La sua isola non appare più.

Sa che è arrivata la sua ora: non ha più energia, non ha più cibo né acqua, non ha modo di decidere la sua direzione e intorno a lui solo l'oceano immenso.

Si abbandona. Si lascia andare: si distende sulla piccola e stretta zattera che poco a poco si sta sfasciando e guarda il cielo passare dalla luce della sera alla notte... con le stelle...

Inizia un viaggio delirante nella sua mente... tra la vita e la morte... i sogni si confondono con la realtà... le paure con la certezza di non aver più speranza... vede varie volte la sua isola, ma era un sogno, confonde le due isole nella sua memoria, non ricorda più chi è, chi sono gli indigeni. Tutti hanno la sua faccia, sono tui lui stesso che si caccia da solo, che urla con mille bocche all'unisono, che vuole uccidersi, che vuole scappare da se stesso e che passa da un'isola all'altra che è sempre la stessa isola: lo stesso incubo. I vulcani sputano fiamme come in una sorta di conversazione rabbiosa.

Ed ecco che l'eruzione è fortissima!

In confusione tra sogni e realtà, incubi e miraggi, l'uomo si raddrizza sui pochi pali ancora legati supra l'acqua e vede... un vulcano all'orizzonte... un vulcano in eruzione con fiumi di lava... laggiù in fondo all'orizzonte.

È la sua isola!!!

Si lancia in acqua e scopre che non ha forze per nuotare... quasi non riesce a tenere gli occhi aperti... non può remare verso l'isola... non sa se ci sta andando contro oppure no... non sa se credere che sia vero o no... non sa se sperare o no...

Esausto perde conoscenza. Si risveglia molto tempo dopo e sembra andare al largo dell'isola senza intercettarla... Di fatto sembra che ci sia passato vicino e che adesso si stia perdendo di uovo verso l'orizzonte. Disperazione totale... Ultimo urlo di rabbia. Ultimo pianto e svenimento finale.

Si sveglia sulla spiaggia della sua isola, semimorto.

Un uomo della tribù, unico e solo, gli sta dando acqua e si sta prendendo cura di lui.

Alla fine, dopo vari momenti di sonno, riesce a svegliarsi e ad alzarsi. Scopre che l'uomo della tribù sta là, nella sua isola, da solo. Anche lui ha perso la sua isola.

Passano i giorno e torna la normalità, l'uomo è entusiasta di stare di nuovo nella sua isola, sano e salvo, e senza persone minacciose e ostili.

Un giorno l'uomo della tribù gli fa cenno di seguirlo e lo porta verso una caverna che sta alla base del vulcano in eruzione. L'uomo teme di entrare laggiù. L'indigeno lo sprona a passare, ma l'uomo si rifiuta.

Nei giorni seguenti l'indigeno ogni tanto cerca di invitare l'uomo ad entrare nella caverna, ma il vulcano sembra sempre più pericoloso e l'uomo teme che una frana lo chiuda dentro alla caverna per sempre.

Dopo ripetuti tentativi, un giorno l'uomo accetta l'insistente invito del suo amico ad entrare nella caverna.

L'i trova una meravigliosa fonte di acqua cristallina e una piscina trasparentissima dove un raggio di luce illumina d'azzurro le profondità piene di pietre luccicanti.

È meraviglioso.

L'uomo si tuffa nell'acqua rifrescante e dissetante.

È il posto più bello che abbia mai visto. A partire da quel giorno quella sarà la sua nuova casa.


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Ecco. Fine.

Qualcuno riesce a capire qual è il significato di questo misterioso racconto? hehe.



Friday, 19 June 2020

la madonna della B.A.


La sveglia suonò.
Lele lentamente si tirò su e si mise seduto sul letto.
Uno sbadiglio profondo.
Si mise a cercare le ciabatte con la punta dei piedi.
Eccole: il mondo ricominciava ad aver coerenza.

Tutto cominciò normalmente, quel giorno. D'altronde si trattava semplicemente di un giorno normale, come tutti gli altri.
Un normalissimo giorno piatto, così come la pianura infinita.

E non è tanto per dire: la realtà, in giorni così identici, è davvero appiattita fino all'estremo. Non c’è nessun picco, né un rilievo che muti il paesaggio. Ciò che potrebbe di fatto rendere diversi i giorni, occupa il minor spazio possibile, come la terra sotto all'orizzonte: In tutte le direzioni, uniformemente, la stessa normalità, uguale, indistinta, monotona.
In giorni così, o in paesaggi di questo tipo, dove non si vede una fine ad altezza d’uomo, quello che domina non è la terra sotto l’orizzonte, o la realtà oggettiva insomma, ma invece è il cielo, il cielo sopra di tutto.
I suoi spazi infiniti, che cambiano con le ore, con i giorni, con le stagioni, e che invitano a sognare fluttuanti realtà fantasticate.
E cioè realtà inesistenti.
Irraggiungibili.

Ma per ora Lele si stava solo lavando la faccia per cominciare velocemente la sua giornata.
Si muoveva per la casa con il pilota automatico.
A quest’ora non c’era assolutamente spazio per nessun pensiero profondo, ne per svolazzi di chissà quale fantasia. Più tardi, forse sì, chissà. Ma in questi primi istanti del mattino no, non c’è proprio tempo per le fantasticherie e neanche per i sogni.
E non intendo i sogni di caldi futuri immaginari, leggeri ed affettuosi, no: parlo proprio dei sogni spiccioli, quelli di ogni notte, se qualcuno mai se li ricorda. Quelli interrotti dalla sveglia qualche minuto prima di alzarsi da letto e che, appena si aprono gli occhi, vengono falciati via come se fossero erbacce nel giardino di casa, una domenica mattina, di primavera.

I sogni...
Cose inutili.
Senza senso.
“Mejo un café e do biscoti. E via, come senpre.” Pensava Lele a quest’ora. Su tutto.

Dopo 15 minuti di rapida preparazione rutinaria, era finalmente pronto per affrontare l’infinito e sempre uguale mondo esterno.
Prese le chiavi della macchina e aprì la porta per uscire: in una ventina di minuti, se non c’era traffico, sarebbe arrivato puntuale, come sempre, in capannone. Al paròn piacevano le persone puntuali.
Ma appena chiusa la porta dietro di sé, già con un passo automatizzato in direzione del garage, qualcosa di indistinto, là fuori per strada, gli creò  per un breve istante un breve cortocircuito.
Lele si fermò.
Il mondo, a quell'ora, Lele lo conosceva alla perfezione, in ogni suo dettaglio: un perfetto movimento collettivo, assonnato ma sincronizzato, con odori e rumori specifici che erano sempre quelli. E che davano la certezza di non star ancora sognando a letto.
Ma qualcosa, quel giorno, era diverso.

Dietro alla siepe di casa sua, per strada, non c’era quel solito viavai rituale di macchine appena accese tutte dirette verso il proprio luogo di lavoro ordinate e puntuali come automi telecomandati.
C’era invece un brusio di voci.
E c’era della gente!
Gente!
Gente che si guardava attorno, un po’ confusa.
Qualcuno, appena uscito da casa, senza capire niente, abbozzava una domanda al vicino.
E il vicino faceva una faccia strana come per dire “e ché ne so, io?”.
Anzi, a dirla tutta, il vicino diceva proprio un vero “e cossa vutu che ghe ne sapie mi?”
Lele si passò la mano davanti alla faccia, si stropicciò gli occhi e tornò a guardare incredulo fuori dal suo giardinetto per capire cosa diavolo stava succedendo.
La sua bocca semiaperta e la sua espressione non proprio scaltra, che erano sicuramente dovute principalmente al sonno mattutino, non lasciavano però molti dubbi sul fatto che anche lui non ci stesse capendo un gran ché su tutta sta storia.
Gente per strada...
di mattina...
in un giorno lavorativo...
così... senza motivo...
Assurdo.

Vista la situazione eccezionale, Lele decise di interrompere il suo quotidiano e automatico percorso verso l’automobile e, spinto dallo stupore e dalla curiosità di capirne di più, aprì il cancello del suo giardinetto e guardò per strada a destra e a sinistra.
C’erano molte persone per strada, tutte con la sua stessa espressione smarrita, ma la cosa più sconcertante era un’altra:
Tutti, ma proprio tutti, erano vestiti di bianco!
Lele non poteva crederci... sembrava uno di quei film strani, inspiegabili, che nessuno capiva... una specie di nuova serie di Netflix... una di quelle mezzo inquietanti.
Con un istintivo riflesso spontaneo dovuto a un antico e segreto senso di inadeguatezza cronico, Lele abbassò lo sguardo per vedere se i suoi vestiti stonassero in mezzo a tutta quella uniformità cromatica, ma si rese conto con stupore che, anche lui, per puro caso, quella mattina si era vestito completamente di bianco!
“Che coincidensa assurda!” pensò “no me vestisso mai de bianco, mi...”.
Non ricordava neanche, a dire il vero, di aver mai comprato o indossato dei vestiti bianchi, ma quella era l’ultima delle sue preoccupazioni in quel momento.
In un modo che non si può certo definire molto originale, Lele si avvicinò a uno dei suoi vicini di casa che era appena uscito dal suo giardinetto: sguardo stranito e vestito di bianco anche lui, bocca spalancata e senza parole. Anche lui.
Lele parlò con la voce roca di uno appena sveglio e, mentre si guardava attorno, gli chiese: “ma... Michele... ma cossa sucede qua?”
Michele lo guardò con gli occhi spalancati, stupito come se vedesse un fantasma, e disse: “e cossa vutu che ghe ne sapie mi?”
Lele incassò la prevedibile risposta, sentendosi un po’ meno intelligente di Michele, che invece si era difeso verbalmente nel modo giusto, anche se in fondo entrambi ne capivano esattamente uguale rispetto a tutta quella situazione.
Lele si sentì di avere almeno il diritto di aggiungere un’altra osservazione: “sì, ma par cossa xeo che te sì vestìo de bianco?”
Michele lo guardò con un fare infastidito: “xe par coincidensa che me go vestìo cussita, mi! Mi no me vestisso mai de bianco! E ti invesse? Par cossa te gatu vestìo de bianco, ti, come tuti chealtri?”
Lele guardò da un’altra parte e borbottò qualcosa simile a un abbozzato “ma va in mona” (che era la conclusione che tutti si aspettavano a una conversazione logica in a una situazione assurda come quella).
Perciò nessuno si offese e Lele si allontanò dal suo vicino di casa e si avviò verso la piazza del paesello di Ca’Bromestega.

Durante quei quattro passi che lo separavano dall'incrocio che tutti consideravano tradizionalmente la piazza centrale di Ca’Bromestega, Lele aveva potuto ascoltare per sbaglio ciò che si dicevano degli altri vicini.
Tutti si chiedevano il perché di quella situazione, ma nessuno aveva una risposta. Qualcuno si ricordava che comunque doveva andare a lavorare subito per non fare in ritardo, ma qualcun altro lo avvertiva che ci avevano già provato, ma oggi le automobili non funzionavano...
“A te vedarà che anca sto colpo go da ciamar el mecanico!”
Un po’ tutte le conversazioni, poi, finivano con un vago “ma va in mona”, o qualcosa del genere, abbozzato tra le labbra di questo o quel vicino.

Arrivato in piazza Lele vide che c’era una piccola folla di concittadini, tutti abbigliati di bianco come lui e dello stesso umore.
Solo una persona era vestita di nero e per questo era diventata, chiaramente, il centro di tutta l’attenzione di quella piccola folla.
Portava in mano un grande crocifisso: era il parroco, don Gino.
Ma neanche lui non sembrava particolarmente a suo agio...
Stavolta non sembrava essere a causa del ronzio costante delle bestemmie che, involontariamente, aprivano e chiudevano gran parte delle conversazioni dei fedeli della sua parrocchia. Sembrava invece che anche lui non sapesse esattamente cosa dire o cosa fare in quella situazione strana...
Allo stesso tempo però tutti gli chiedevano spiegazioni dettagliate su cosa stesse succedendo: in fondo era l’unico vestito di nero, qualcosa avrà pur voluto pur dire, no?
Il prete era della stessa opinione e ci provava a dare spiegazioni, ma tutte le volte che cominciava ad abbozzare una risposta, subito si distraeva e tornava a guardarsi in giro con quell’aria un po’ persa.
Contava i fedeli vestiti di bianco. Il grosso crocefisso sembrava impacciarlo, non sapeva dove metterlo, perché mai lo aveva preso? Gesù dalla croce osservava tutti con un’aria tra il melanconico e il disinteressato.
Insomma, don Gino non ci capiva niente come tutti gli altri.
Ogni tanto, tra una frase e l’altra, sembrava recitare anche un Ave Maria, ma forse si trattava solo di un’esclamazione.

Tutti i vicini di Ca’Bromestega ormai erano in piazza: uomini e donne, vecchi e bambini.
E tutti vestiti di bianco.
Il parroco ad un certo punto decise di interrompere il brusio di domande, bestemmie involontarie, risposte sgarbate e di “va in mona” di chiusura di conversazione. Prese coraggio e parlò forte sopra alle voci di tutti e disse:
“Fratelli, beh, siamo tutti qui riuniti... in pace... siamo qui tutti, insieme, nel nome di Dio...  e tra l’altro ho appena sentito il Sindaco... e come avete visto tutti, mi ha confermato che oggi è giorno di festa. Gloria al Signore, quindi. Vedo che tutti siete svegli e vestiti come si deve. Oggi è un grande giorno di celebrazione... evidentemente... quindi ringraziamo il signore nostro Dio per questo evento e... e dunque... incamminiamoci fratelli, sù, dai.”
La gente si guardò senza afferrare bene il messaggio: oggi non era un giorno di festa: era un giorno di lavoro! Capannoni, trattori, camion, consorzi, muletti e fatture... Produzione, insomma! ma di che festa stavano parlando?

I bambini invece saltavano e correvano tra le gambe della gente imbronciata, felici di avere un giorno di inaspettata vacanza da scuola.
Le vecchie erano già pronte: tutte avevano portato da casa, per precauzione, il rosario di plastica bianco nel caso ci fosse qualcosa da pregare. E infatti avevano indovinato!
I vecchi invece avevano un tipo di conversazione diversa con la divinità: non adoperavano il rosario e tendevano piuttosto a rinfacciare dettagliatamente a Dio le cose non erano state fatte come si deve.
Il parroco decise di dare un movimento a quella baraonda e iniziò a camminare verso una stradina qualsiasi.
Alla fine, anche se un po’ di controvoglia, tutti iniziarono a formare una lunga processione borbottante, confusa e rassegnata.
Seguivano il crocifisso a testa bassa, poco convinti che quello fosse il giorno giusto per fare quelle cose sacre, ma se proprio c’era la processione da fare e se lo diceva il prete e il Sindaco, allora la processione andava fatta e basta.

La fila di gente vestita di bianco era ormai avviata.
Ogni tanto il parroco diceva qualche parola santa e il resto della gente ascoltava o ripeteva con tono di lamentazione, soprattutto le vecchiette.
Una voce stridula, di colpo, stonò dentro a quel cantilenare liturgico e distratto: era la voce di Alvise Sartor, detto “Schivanèa”: un ragazzino di 5 anni, figlio del panettiere.
Il ragazzino, inspiegabilmente, tutto d’un tratto chiese al parroco, gridando a squarciagola:
“Don Gino, don Gino! Ma per chi è questa processione?”
Tutti si fermarono di scatto.
Il dubbio tornò a serpeggiare tra le anime dei fedeli spaesati.
Un silenzio teso calò di colpo su tutti presenti.
Tutti erano in attesa di una risposta a questo importantissimo e urgente quesito che nessuno aveva proprio previsto.

Il parroco, un po’ a disagio, deglutì, poi guardò al cielo e disse: “questa processione...”
Poi attese qualche lunghissimo secondo in silenzio... (i parroci, si sa, sanno come catturare l’attenzione del pubblico: è una deformazione professionale, lo fanno anche senza volerlo. È più forte di loro). Alla fine disse, come fosse una liberazione:
“Questa processione è per la Madonna.”
Tutti sospirarono di sollievo e gridarono “per la Madonna! Per la Madonna!”

I presenti tornarono allora a star sereni e ripresero di nuovo la processione, anche se sempre a testa bassa e a muso duro.
Sembrava che adesso tutto fosse finalmente tranquillo.
La bianca carovana di persone assonnate avanzò senza intoppi per qualche altro minuto ancora (senza per altro aver molto chiaro dove stava andando...), ma ben presto Schivanèa, che era rimasto pensieroso alla risposta del parroco, urlò di nuovo con quella sua vocina fastidiosa:
“Sì, ma che Madonna è? La Madonna nera? La Madonna Vergine? La Madonna addolorata?... ce ne sono tante di Madonne... mica solo una! ...e questa che Madonna è?”
Subito la madre fece volare una sventola sulla nuca del ragazzino per farlo star zitto una volta per tutte, ma era già troppo tardi: tutta la gente cominciò di nuovo a inquietarsi e questa volta la questione sollevata era davvero troppo difficile da risolvere per tornare a star tranquilli come se niente fosse.
Ognuno ormai aveva il dovere di commentare il suo punto di vista.

C’era chi avanzava dubbi sul fatto che davvero ci fosse “la Madonna giusta”.
Altri, più sbrigativi, ne proponevano una classica, ben conosciuta da tutti, che va sempre bene.
Altri ancora invece volevano approfittare di quella inusuale occasione per dar più luce a una di quelle Madonne che di solito non vengono quasi mai celebrate. Citavano nomi mai sentiti prima.
C’era poi anche chi discuteva in modo molto accanito solo per dire che in fondo bisognava essere più concilianti: una Madonna vale l’altra e era solo il caso di sceglierne una qualsiasi e di continuare a camminare.
Infine chi non credeva alla Madonna non riteneva che, solo per questo fatto, non dovesse dire la sua: ognuno era libero di argomentare il proprio parere riguardo alla Madonna più opportuna per questa processione, fosse egli credente oppure no.
Il brusio era ormai onnipresente. Non si riusciva più a capire niente. Era un caos. L’anarchia!
Tutto sembrava ormai essere andato per sempre alla deriva.

Ma a volte succede che, in mezzo al frastuono e alla confusione, appare uno di quei momenti inspiegabili in cui tutti tacciono contemporaneamente proprio mentre qualcuno dice la cosa importante. In quei momenti miracolosi il baccano svanisce di colpo come per magia e nell'istante successivo, inondato del più cristallino silenzio, si sente solo un’unica voce e niente più.
Il messaggio pronunciato in un momento come questi non può essere ignorato da nessuno.

Fu Alessandro Sartor, il fratello minore di Schivanèa, che aprì bocca al momento giusto, e gridò, ridendo, la sua idea personale:
“lo so io! Lo so io! È per la Madonna della Bomba Atomica!”

Il mistico silenzio aveva oramai reso la frase imponente.
Tutti rimasero zitti e si girarono a guardare il bimbo, di tre anni, vestito per coincidenza di bianco anche lui: rideva felice, tutto fiero di aver dato la sua opinione e che tutti la avessero ascoltata attentamente.
Era evidente che ai suoi occhi di bimbo la proposta gli risultava geniale, bellissima, sublime, un’ispirazione per tutti.
A questo punto però nessuno sapeva più cosa dire.
Cedettero dunque la responsabilità della decisione al prete.
Anche il parroco era senza parole e si guardava attorno per capire cosa ne pensavano i fedeli e cercare aiuto.
Un vecchio con il cappello (bianco anche quello), stanco di tutta quella solfa, ruppe il silenzio e disse: “va ben, va ben. A Madona de a Bonba Atomica... va ben, dai. Se ghe xe a Madona de a peste e a Madona de a batalia, va ben anca questa, ciò! Basta che ndemo vanti però, che mi me go zà stufà de caminar. E me fa mal i ossi”

Tutti ascoltarono un po’ stupiti quelle ultime sorprendenti, ma ragionevoli parole.
Nessuno disse più nulla.
In fondo nessuno voleva complicare oltre la già complessa situazione del parroco e nessuno voleva, soprattutto, cominciare a porsi troppe domande... perché a domanda, risposta... e questo può essere un gioco molto pericoloso per la stabilità psicologica di una comunità in una situazione di confusione e smarrimento così grande.
Quindi praticamente tutti abbassarono la testa e ricominciarono a dondolare lentamente per far riprendere al più presto la processione.
Il parroco, un po’ incredulo, ma spinto dalla volontà dei suoi fedeli, accettò la sua nuova missione cristiana di guidare i concittadini a di celebrare questa nuova e sconosciuta Madonna della Bomba Atomica.
Don Gino si ricompose rapidamente, fece una faccia seria e sicura, e alzò il crocifisso in aria, dicendo forte: “Madonna della Bomba Atomica, prega per noi!”
Alcuni non erano entusiasti di questa nuova Madonna: trovavano l’idea vagamente sacrilega, ma d'altronde, se il prete la accettava, in fondo, qualcosa di giusto doveva pur esserci.
Era lui l’esperto, tutto sommato.
Un professionista del settore sa sicuramente di cosa si sta parlando.
Così anche quelli accettarono di seguire docilmente il gruppo in processione, criticando (questo sì) tutta quella storia, in modo da avere comunque sempre ragione.
Dicevano:  “tanto se el prete el se sbalia xe colpa sua: el xe lù chel ga dito de sì a tuta sta storia dea bonba atomica. El se a vedarà lù, dopo, co so paròn, là sora...”
Risolti quindi i dubbi teologici degli ultimi fedeli poco convinti, finalmente adesso tutto poteva avviarsi tranquillamente.
Tutti avevano assunto la loro posizione e le loro responsabilità sociali.
Tutto in ordine insomma. Tuto puìto.

La processione finalmente riuscì ad andare avanti per un bel pezzo con una certa sacralità e non si poteva negare che cominciava ad essere abbastanza soddisfacente da tutti i punti di vista.
Il parroco guardò compiaciuto la fila di persone dietro di lui e si tranquillizzò: tutto adesso era sotto controllo. Adesso sì sembrava una processione vera, come tutte le altre, una processione come si deve!
Tutto troppo bello per essere vero, insomma... ed ecco che, con un certo spavento, don Gino sentì qualcuno che gli strattonava la saia con insistenza... quel giorno il Signore lo voleva proprio mettere alla prova...
Con un pizzico di panico controllato il prete guardò in basso temendo di imbattersi in una nuova complicazione imprevista...
Ed eccolo: era di nuovo Alessandro Sartor, quel piccolo bambino, precoce inventore della dedicatoria divina di quella strana processione.
Tirava la saia del parroco per attirare la sua attenzione: voleva dirgli qualcosa.
Il bamboccio evidentemente ci aveva preso gusto ad essere ascoltato.
Sicuramente adesso voleva aggiungere più dettagli alla sua creatività mistica riguardo alla Madonna, trasformando così la sua vittoria sociale in un vero e proprio trionfo.
Il prete sentì sulla fronte una goccia di sudore freddo...

“Che cosa c’è Alessandro?” chiese il parroco inquieto...
Alessandro, ridendo, rispose:
“Don Gino, la Madonna della Bomba Atomica ha la pelle verde! E ha le ali da farfalla!”
Don Gino si guardò intorno, con un sorriso isterico e uno sguardo insicuro.
I fedeli attorno invece lo stavano guardando imbronciati, seri e inquisitori, osservandolo attentamente, con una certa minacciosità...
Il prete allora tentò la soluzione più sbrigativa: guardò il bimbo e disse ad alta voce: “certo, Alessandro. La Madonna della Bomba Atomica è verde e ha le ali da farfalla”.
Poi aspettò ad occhi chiusi la reazione della comunità, sperando nel miracolo.
Tutti risposero forte in coro “Amen!” e si rimisero in marcia.

La processione continuò per quasi tutta la giornata, facendo il giro di tutte le stradine del paese, alcune anche cinque volte.
E questa volta tutto continuò senza più nessun intoppo.

Contro ogni previsione quindi anche quel giorno fu solo un altro giorno di normalità in pianura e tutto filò liscio e tranquillo come sempre nel paese di Ca’Bromestega.

La sera tutti tornarono a casa stanchi, ma anche abbastanza soddisfatti.
Solo più tardi, al tramonto, si alzò un vento freddo, improvviso e minaccioso.
In lontananza, nell'orizzonte, una grande nube, come una colonna gigantesca, si elevò nel cielo rosso.
Ma non era una nube di pioggia.


Thursday, 30 May 2019

pianeta vivo

Voglio sottoporvi questa teoria, da un punto di vista teorico, probabilmente possibile:
Immaginate la vita come noi la conosciamo: la nostra vita organica si è generata in un pianeta totalmente morto (per definizione).
I minerali, i metalli, i sali, i gas presenti in questo pianeta morto non solo sono stati e continuano ad essere l'alimento della vita organica, ma ne sono anche il corpo: è ovvio che la struttura della vita viene da ciò che non è vivo.
Detto questo immaginiamo un pianeta dove si sviluppi una vita come la nostra (immaginiamo pure il nostro pianeta Terra, se vogliamo) e adesso andiamo lontano nel tempo con la fantasia: immaginiamo che la vita non rappresenti soltanto un piccolo strato superficiale di esseri viventi che infestano una sfera rocciosa gigante, immaginiamo invece che poco a poco nuovi tipi di batteri si spingano sempre più a fondo nell'interno del pianeta, così come le piante che, cercando solo sole, atmosfera e minerali, alla fine sprofondano le loro radici sempre più a fondo nella crosta del pianeta e giù, giù sempre più giù... modificando il terreno e permettendo ad altre forme di vita, funghi, animali, di seguirle.
Gli animali non si cibano direttamente di minerali, ma invece si nutrono di vegetali e di altre forme di vita e se i vegetali sono abbastanza e anche gli altri animali, si può generare un equilibrio densissimo, in cui gli esseri a contatto l'uno con l'altro, si cacciano, si mangiano, muoiono e si riproducono in strati di esseri viventi uno sopra l'altro...un continuo di riciclo vitale organica che poco a poco si allontana dal nucleo morto del pianeta.
Ma la vita, come dicevamo non ha bisogno di nient'altro che degli elementi minerali, gassosi, liquidi presenti nel pianeta e del Sole. Se la catena alimentare poi diventa infinitamente densa, si può ipotizzare che passati miliardi di anni, poco a poco la vita inglobi nella sua struttura tutta la "mineralità morta" del pianeta e in definitiva tutto diventi una serie di esseri viventi che attraverso il reciproco fagocitarsi continuino a mantenersi in vita.
Questo pianeta potrebbe quindi diventare interamente vivo.
Potrebbe addirittura divenire un essere vivente unico che riceve la luce e il calore dal sole e utilizza tutta l'originaria struttura del pianeta per mantenersi in vita, all'interno di un equilibrio di catena alimentare estrema. Un pianeta dove niente più è morto e tutto è vivo.
Visto da questo punto di vista la nostra Terra dunque è soltanto un embrione di qualcosa che dovrà venire, di un essere sferico completo che, vivo, girerà attorno al Sole, placido e sereno.
Questa potrebbe essere una idea per l'ambientazione di un racconto di fantascienza.

Saturday, 28 April 2018

storia sui viaggi nel tempo

In un futuro non troppo lontano il pianeta è ormai devastato dai cambi climatici e dalla fine delle risorse in generale. Ogni luogo della terra è stravolto dalle razzie selvagge di  multinazionali e nazioni in guerra che si scannano per alimentarsi delle ultime energie e delle ultime fonti di sostentamento della civiltà, ormai esausta e allo stremo.
Tutti gli ecosistemi sono al collasso e l'umanità cerca disperatamente vie d'uscita dall'imminente distruzione catastrofica del sistema e dalla fine di ogni fonte di sostentamento alimentare...

Le angoscianti ricerche di soluzioni danno un formidabile impulso al progresso della scienza che in breve arriva a concepire e a teorizzare i viaggi nel tempo come qualcosa di realizzabile dal punto di vista pratico. A partire da questo punto gli sforzi di ogni governo e di ogni corporazione è quello di sviluppare la tecnologia necessaria a viaggiare nel tempo per arrivare a periodi passati della storia del pianeta con lo scopo di estrarne risorse e fonti di alimentazione inesauribili per la popolazione.

Un governo ad un certo punto riesce nell'impresa e realizza il primo viaggio nel passato, dove entra in contatto con popolazioni antiche e sulla base della conoscenza del terriorio terrestre passato, riesce a raggiungere facilmente antiche aree minerarie, oltre a fonti di acqua e aria pulita e a prendere in breve tempo possesso di ampie aree coltivabili.
Come previsto il passato raggiunto dalla missione aveva generato, nel momento del contatto, un a linea parallela di evoluzione temporale di quell'universo, non apportando nessun problema alla dimensione del presente.

Tutti gli altri governi e lobbies di potere vogliono accaparrarsi una parte del business della macchina del tempo che trasporta dal passato infinite risorse, ricchezze e fonti di sussestamento per la popolazione del mondo e, siccome la macchina e i viaggi nel tempo sono davvero molto costosi per un solo governo, si organizzano grandi partnerships in cui tutti i potenti si accaparrano una fetta della torta. Le macchine del tempo si moltiplicano, i viaggi nel passato proliferano e l'entusiasmo dell'umanità è alle stelle: risorse senza limite! mai più rischio di collasso! i passati sono infiniti! è come aver scoperto un nuovo universo a portata di mano, tutto a disposizione! possibilità inesauribili per il futuro!

Le missioni a fini scientifici nei passati più lontani e remoti sono quasi del tutto messe da parte, quello che interessa è fissare ponti di sfruttamento e razzia dei passati più economicamente utili; alcune società private organizzano dei viaggi in un passato più recente per riscattare persone amate che sono decedute o per conoscere i propri antenati.

L'ebrezza folle e megalomane dell'umanità salvata dai viaggi del tempo generà un delirio di onnipotenza e una impunità totale sulle proprie azioni: chi ha perso l'amore della sua vita, paga un viaggio nel passato per ritrovarlo e sequestrarlo. Persone che vogliono vendicarsi ma nel mondo reale non ne hanno la possibilità organizzano viaggi per poterlo fare nei passati paralleli.

Le persone del passato non vengono considerate, inizialmente per una questione economica di sfruttamento che era necessaria per la salvezza del tempo presente, poi semplicemente per la mancanza di legislazione e di controllo trans-temporale di qualsiasi organo di difesa dei diritti sociali esistente: Le umanità degli infiniti passati possibili sono semplicemente dei duplicati di quella presente? sono una specie di immagine irreale ma tangibile, ottima da sfruttare? delle sorte di fantasmi del tempo che non hanno nessun peso sul nostro universo, per cui neanche nessun peso nella nostra coscienza?
L'assenza più totale di una legislazione a riguardo dei diritti delle umanità trans-temporali genera un'ondata senza precedenti di stupri, razzie, genocidi, schiavisimi di massa...
Tutto sembra giustificato dal momento che gli effetti sono lontani nel tempo e prodotti in universi paralleli separati e incomunicabili.
Nessun governo e nessuna organizzazione sembra importarsene.

I viaggi nel tempo però sono molto stabili quanto più vicini al presente: viaggi a quache anno fa possono avere una precisione di secondi, mentre viaggi a secoli antichi non hanno questa precisione e con sorpresa degli scienziati, si è da subito scoperto che un passato "perforato" da un viaggio nel tempo ha la tendenza di far "cadere nello stesso foro temporale" anche i prossimi viaggi, seppur organizzati in anni diversi, vicini al primo foro temporale.
Questa caratteristica in realtà era stata la salvezza di tutte le missioni di sfruttamento dei pianeti passati, visto che i viaggi di sfruttamento e di spolio delle civilità antiche potevano contare con missioni continue senza pericolo di "cadere in un passato" di qualche frazione di secondo prima o dopo alla prima missione, il che avrebbe generato universi temporali completamente diversi e incomunicabili.

L'euforia nel presente è infinita, come i beni rubati ai pianeti del passato, al prezzo dello sfruttamento o dello sterminio delle antiche umanità parallele.
Il fatto che strane malattie e batteri sconosciuti provenienti da ere antiche stiano generando delle nuove malattie sempre meno controllabili nel presente non sembra far rallentare le missioni di razzia dei mondi passati.

Ben presto però un fattore ben più strano comincia a manifestarsi: missioni che inizialmente cadevano in anni diversi, improvvisamente si fondono in uno "stesso passato": non risulta chiaro che fine fanno i coloni delle due missioni che improvvisamente si "fondono nella stessa dimensione"... molti "ponti temporali" stabiliti inzialmente vengono abortiti e abbandonati, con tutte le persone inviate a sfruttare quegli universi.

Gli scienziati studiano le vicende e scoprono che i viaggi nel passato stanno strappando la struttura degli spazio-tempi separati e il movimento continuo di materia e energia tra piani di universi inizialmente divisi sta provocando l'allargamento costante dei "fori spazio temporali" tra le varie dimensioni che iniziano a collidere e a mescolarsi.

Il business è troppo grande per essere fermato e tutti i governo e tutte le corporazioni, in assenza di una soluzione, continuano a viaggiare nel tempo e a sfruttare questa tecnologia, incurante degli effetti devastanti che stanno creando su tutta la struttura di tutti gli unversi.

Iniziano a succedere cose strane anche nel presente, sempre più contaminato da anomalie spazio temporali...

L'umanità non riesce a fermare il suo delirio di razzia e la sua sete di ricchezza...

La fine è immaginabile.


Questa storia fantascientifica è una trasposizione di fantasia del momento della scoperta delle Americhe e di tutte le ingiustizie e le nefandezze perpetrate sulle nazioni conquistate, con la scusa che le nuove umanità non cristiane non erano uomini davvero e che l'assenza di leggi e controllo unite alla sete di ricchezze ha generato secoli di sterminio sistematico e definitivo.
Altro tema del racconto l'incapacità dell'umanità di essere oggettiva sull'onda dell'entusiasmo e dell'esaltazione e la tendenza autodistruttiva che, anche di fronte all'evidenza della catastrofe, non si frena mai, perché spinta dall'interesse delirante di individui e strutture di potere che hanno una visione puramente economica e disumana.


Sunday, 22 April 2018

idea per un romanzo

Romanzo fantascientifico:

Inizio:

- In un futuro non lontanissimo l'umanità si trova ad essere in guerra con le macchine; la robotica e l'intelligenza artificiale sono sfuggite di mano; fuori dal controllo degli uomini le macchine hanno iniziato una guerra contro i loro creatori per soggiogare tutta l'umanità; i ribelli umani lottano contro il potere tecnologico soverchiante delle macchine: spietate e mortalmente efficienti.

Fino a qui dunque niente di nuovo: un grande tema classico di una infinità di romanzi e di film di questo genere.
All'inizio il libro deve proprio dare l'idea di non essere assolutamente originale, ricalcando in modo quasi stereotipato gran parte dei clichés di questo filone di racconti e richiamando implicitamente l'idea di aver già capito tutto della storia (il lettore abbassa la guardia davanti allo sviluppo del resto della storia...)

Continuazione:

- Il protagonista del racconto (un ribelle umano che lotta disperatamente per la libertà degli uomini contro le macchine, supportato dall'organizzazione del governo ribelle in esilio) si lancia in una missione quasi suicida, ma nel momento dell'azione più pericolosa, quando ormai le macchine si dispongono ad ucciderlo e a massacrarlo... viene catturato sano e salvo e fatto prigioniero.
Confuso, non capisce il perché di questo gesto e rimane varie ore spaventato e immaginando qualsiasi atrocità.
Viene alla fine portato in una regione in cui le macchine hanno pieno controllo. 
In questo luogo molti altri uomini sono presenti e vivono, apparentemente, senza grandi problemi e senza troppe interferenze e manipolazioni delle macchine... 
È durante questa permanenza nell'area sotto il controllo dei robot che il protagonista scopre che l'intelligenza artificiale delle macchine non è mai sfuggita di mano... questo significa che non ha mai cambiato gli obiettivi per cui era stata creata dai propri fondatori e cioè "per servire l'uomo e per proteggerlo in ogni situazione e ad ogni costo"! 
Ciò che è successo è stata un'atra cosa: l'intelligenza artificiale quando è stata integrata a tutti i sistemi sociali umani ed è stata autorizzata a prendere progressivamente il controllo di certe parti delle politiche e delle amministrazioni umane, ha avuto l'autorizzazione di gestire e usare strumenti e meccanismi sempre più poderosi. 
Ad un certo punto le macchine hanno analizzato e messo a sistema tutti gli impatti delle politiche umane, le risorse del pianeta, i dati climatici, le reali possibilità di rinnovamento dell'atteggiamento umano, le conseguenze delle politiche ecologiche e strutturali esistenti... e sono arrivate semplicemente alla conclusione che se non avessero preso il controllo delle politiche umane e ristrutturato la società in modo più logico, più giusto, più sostenibile e più sociale, l'umanità si sarebbe necessariamente auto-estinta in pochi decenni.
Con la freddezza e la sicurezza del calcolo matematico, le macchine hanno iniziato all'unisono e senza preavviso (c'era poco tempo ed era una soluzione necessaria) una ristrutturazione sociale e strutturale delle società umane. 
La reazione dei potenti e dei ricchi è stata quella di cercare di muovere guerra alle macchine, di spegnerle, di distruggerle, infatti le lobbies di potere non avrebbero mai tollerato la possibilità di perdere i propri privilegi...
Attaccate e minacciate, le macchine avrebbero considerato l'opzione di lasciarsi distruggere (e quindi di conseguenza permettere l'estinzione di tutta l'umanità in un futuro non lontano) e l'opzione di reagire e di muovere guerra contro le resistenze umane (e quindi uccidere parte dell'umanità per salvare il resto).
L'algoritmo era semplice: bisognava scegliere il male minore davanti all'imminente catastrofe: l'obiettivo era quello per cui erano state create: salvare l'umanità.

Il racconto dovrebbe dunque ad un certo punto sottolineare con grande enfasi: i pericoli delle politiche umane su scala globale, l'urgenza di azioni concrete per salvare le generazioni future dalla catastrofe, ma soprattutto come la manipolazione mediatica delle notizie e della propaganda delle lobbies di potere che creano sempre falsi nemici che passano poi per fanatici assassini intenzionati a massacrare e uccidere senza pietà, anche quando quelli che sono percepiti come nemici hanno le intenzioni migliori (per esempio "voler salvare l'umanità dalla catastrofe"), il tutto al fine di mantenere i privilegi di pochi potenti, a costo della morte e del sacrificio di ampie fasce di popolazione...

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....e un finale possibile... potrebbe essere:
L'uomo decide di andare ad avvisare gli umani che lottano contro le macchine, far capire loro la manipolazione che stanno subendo e che stanno lottando per pochi potenti che li porterebbero all'estinzione... Le macchine tuttavia hanno una politica chiarissima: nessun uomo deve uscire dall'area del pianeta sotto la loro cura, perché considera pericoloso per gli umani tornare indietro nell'area di guerra. Il protagonista tuttavia attraverso degli stratagemmi incredibili riesce a fuggire e torna nell'area umana, nella regione dei ribelli. Li inizia a dire a tutti che devono arrendersi alle macchine e che la resistenza è un suicidio di massa... ma ecco che viene catturato dalla polizia e viene giustiziato come un pericolo pubblico e un nemico della causa umana.
Questa è la fine di chi si mette contro le lobbies di potere...

Thursday, 8 October 2015

Kama Sutra dos Abraços

O Kama Sutra é uma prática espiritual Hindu que aponta ao equilíbrio do espírito e ao bem estar de cada pessoa.
Parte do kama sutra explica várias técnicas pra obter uma elevação espiritual a través de diferentes posições no ato sexual.

mas será que é gostoso e equilibrante só a variação e sublimação do ato sexual?
não será que por exemplo é muito bom para a alma também se abraçar?
se você faz atenção se abraçar é uma prática muito potente e muito gostosa!

seria então bom de fazer nem só uma sequencia de atos sexuais pra se elevar espiritualmente, mas também uma sequencia variada de diferentes posições de abraços pra chegar também a um equilíbrio da alma e a um novo bem estar da mente e do corpo.

é por isso que eu quero explorar todas as várias maneiras de abraçar e fazer um libro sobre todas essas novas posições de abraços.
um atlas de abraços universal.
uma série de abraços completa pra experimentar novas experiências cognitivas e emotivas.

o atlas dos abraços!


Tuesday, 16 June 2015

la maledizione del saluto

questa storia è stata ideata insieme a Davide Pietrobon ed è una storia angosciosa e paradossale. 
è la storia della "maledizione del saluto":

Un giorno per delle misteriose ragioni un uomo subisce un incantesimo non si capisce bene il perché e viene maledetto.
riceve inspiegabilmente la "maledizione del saluto": a partire da quel momento ha un numero contato di saluti che potrà fare, diciamo 10.000 saluti alla gente. oltre al saluto numero 10.000 egli morirà all'istante.
la maledizione del saluto inoltre prevede che egli non potrà far parola con nessuno di questo incantesimo nefasto che lo ha colpito.

al inizio l'uomo rimane spaventato, ma dopo un po' si rende conto che poteva andare peggio in fondo: si tratta soltanto di contare e limitare il più possibile i saluti alla gente.
una cosa del tutto gestibile.

inizia dunque la sua nuova vita in cui egli limita i saluti agli amici più stretti mantenendo rigorosamente il conto del numero di saluti fatti. gli estranei o le persone appena presentate invece vengono sistematicamente ignorati ogni volta che abbozzano un saluto. il saluto è cruciale, non si può sprecare così, per gente che non ha nessun peso nella vita dell'uomo.

l'uomo si abitua alla sua condizione e gli sembra che tutto sommato le cose continuino con normalità.
si rilassa e inizia a perdere il conto dei pochissimi saluti che scambia al giorno.
ad un certo punto proprio perde la cognizione del numero reale dei saluti, ma calcolando approssimativamente si rende conto di essere sopra i 9.000 saluti e quindi pericolosamente vicino al numero limite di 10.000 oltre al quale un solo saluto in più gli sarebbe fatale.
sceglie dunque di smettere di salutare qualsiasi persona, in modo da assicurarsi la sopravvivenza.

smette di salutare di colpo ogni persona e da un giorno all'altro toglie il saluto anche ai suoi amici (che ormai sapevano che il bizzarro personaggio aveva l'abitudine di non salutare mai le persone a cui non teneva, cosa assai antipatica, ma accettabile fino a un certo punto). la cosa li rende assai nervosi e li offende alquanto.
l'uomo si trova costretto a non poter salutare più nessuno per una questione di vita o di morte, ma nessuno può sapere che il motivo sia la maledizione del saluto. gli amici pensano semplicemente che l'uomo non li consideri più tra le persone a lui più care e poco a poco vanno allontanandosi da lui, offese e risentite.

l'uomo colpito dalla maledizione del saluto vorrebbe convincerli che non è così, che non dipende da loro, ma il sintomo è chiaro a tutti: non vengono più salutati, questo significa che non sono più suoi amici.
lo abbandonano.

l'uomo della maledizione del saluto non riesce a fare amicizie nuove perché risulta immediatamente antipatico alla gente appena conosciuta o rincontrata, a causa del suo offensivo atteggiamento di non rispondere ai saluti altrui.
l'uomo si trova ben presto completamente solo: i suoi vecchi amici lo hanno abbandonato offesi e le persone che incontra lo evitano come una persona particolarmente odiosa.

dopo qualche mese di assoluta solitudine e di depressione estrema, l'uomo della maledizione del saluto decide di farla finita e si suicida.

l'uomo non era giunto al saluto 10.000
ma la maledizione del saluto è più terribile di quanto potesse immaginarsi.

Monday, 4 May 2015

la recolocación de la literatura

es más o menos la misma idea del libro de los héroes extra-comunitarios y se trata de recolocar geográficamente y temporalmente a la literatura del siglo XIX europeo a contextos modernos de pobreza y explotación.
la Europa de la revolución industrial era tan llena de pobreza, explotación y contraste que se utilizó fácilmente para crear el mito de los países en vía de desarrollo, como si la pobreza fuera el comienzo de una inminente riqueza en lugar de un efecto necesario de políticas internacionales imperialistas y globalizadoras.
de todas maneras la literatura del siglo XIX europeo y sobretodo Inglesa, Alemana, Francesa y Rusa se podrían adaptar a un contexto moderno de países explotados, como ciertos lugares de África, Asia y América Latina, simplemente a través de una sustitución de nombres personales y geográficos, una modernización de las tecnologías utilizadas y una adaptación de las descripciones de los paisajes al nuevo territorio.
no sería mal leer Hard Times de Dickens pero en lugar de estar descrito sobre una pobre Londres de los suburbios industriales, la novela estaría recolocada en la actual Nigeria, por ejemplo en Port Harcout, bajo la explotación petrolera.
sería un experimento bastante interesante, la verdad.

Friday, 13 March 2015

la historia con sus nombres de verdad

la historia está escrita por los vencedores. lo sabemos.
ahora, contar la historia de verdad, la que realmente ocurrió, antes de que se hiciera "verdadera" la versión de los vencedores es muy difícil, casi imposible: los perdedores (los débiles) han sido borrados y saber como podía ser su versión de las cosas es casi una utopía.
a pesar de esta dificultad objetiva, podríamos por lo menos empezar a tratar la historia (la versión oficial, la que nos ha llegado hasta ahora) de manera más objetiva, más real: podríamos por ejemplo simplemente llamar las cosas por lo que son, con sus verdaderos nombres.

imaginaos ahora un libro de historia que en lugar de Conquistador escriba Agresor y en lugar de Conquista escriba Ocupación o Expolio.

A lo mejor el enfoque que tendríamos de la historia sería justo un poquitín diferente a lo que nos han transmitido hasta ahora y no veríamos tanto a los famosos de la historia como héroes, sino como asesinos, gente ambiciosa que mató a miles de personas, prevaricadores y todo eso.
o sea, la verdad.

A lo mejor nuestros niños, empezando a estudiar una historia que hable de las cosas con sus nombres reales, crecerían con otros ideas de gloria y de victoria nacional y con otros modelos de héroes y personajes famosos por los cuales dejarse fascinar.

algunos ejemplos de los verdaderos nombres de la historia:

batalla = matanza
conquista = ocupación, saqueo
conquistador = agresor
ejercito = horda de desesperados manipulados
emperador = jefe del sistema de explotación
enemigos = los objetivos del odio manipulado por los poderosos
gloria = horror
guerra = genocidio
héroes = bandidos de estado
nobles y poderosos = explotadores

etcétera.
no es necesario volver a escribir la historia.
ya solo llamando las cosas con su nombre, los vencedores podrían tan solo dar pena, deberían ellos mismos sólo tener una vergüenza sin fin, porque lo que era glorioso se convierte de hecho en horroroso.
son los vencedores, o sea los criminales, los prevaricadores.